di Osvaldo Guerrieri (La Stampa * 18/11/2019)

“Un bancarottiere fraudolento è un delinquente che fa disonore a se stesso, rovina la sua famiglia, deruba…”. Lo diceva Carlo Goldoni nei “Mémories” a proposito della commedia “Il bancarottiere”, primo passo verso la famosa “riforma”. Sembra scritto su di noi e per noi, oggi, e non sui gentiluomini della Serenissima. E sarà stata l’immutabilità colpevole del frodare la molla che ha indotto Vitaliano Trevisan a riscrivere l’antico copione, guardandolo però da una prospettiva più nostra.
E così il mercante Pantalone, che in origine si rovinava con gioco e donne, diventa un industrialotto del nord est vizioso di coca e in rotta con il figlio reduce da due anni di comunità, ma pure con il “signor conte” debitore cronico e con la seconda moglie parecchio mignotta. Il bello è che ciascuno è vittima dello stesso andazzo: chi non consuma, spaccia, oppure imbroglia e consente a Trevisan di andarsene al galoppo sulle praterie della comicità al nero e alla regista Serena Sinigaglia di montare uno spettacolo veloce come una freccia, divertente eppure denso di malumori.
Il quadro ci arriva incorniciato dalla bella scena di Maria Paola Di Francesco: la facciata di un palazzo sprofondato nella sabbia, un piano inclinato con botole in forma di finestre da cui escono gli attori impegnati in questo immortale gioco al massacro, a cominciare da Natalino Balasso, che è un Pantalone barbuto, irsuto, stazzonato, disperato e dunque efficacissimo. A loro volta irresistibili Fulvio Falzarano, Massimo Verdastro, Marta Dalla Via, Denis Fasolo, Carla Manzon, Celeste Gugliandolo, Raffaele Musella e Giuseppe Aceto. Un bel gioco di squadra per una festa di pubblico alle Fonderie Limone di Moncalieri.