Leggo un articolo su La Stampa, riportato da molte pagine social, poi leggo i commenti e mi viene un dubbio riguardo alla nostra comprensione degli scritti, ma anche riguardo ai giornali e alla comunità scientifica.

Nel titolo si dice che, secondo uno studio giapponese, la mortalità del covid sarebbe inferiore a quella dell’influenza (anche se i bene informati dicono che sarebbe più corretto dire “letalità”). Apriti cielo! Leggo in giro commenti inorriditi che riportano il 500% dei morti in più di Bergamo, nonché valanghe d’indignazione. Sarebbe fin troppo facile licenziare questi fenomeni come analfabetismo funzionale, anche se un po’ lo è, perché se non si capisce quel che si legge è dura parlare con cognizione di causa di ciò che si legge. Lo abbiamo visto anche sulla mia pagina fb, quando spiegando la deriva emozionale dei giornali dicevo che 80.000 morti sono più di 60.000 morti, ma è bastato dire che gli 80.000 erano dell’influenza mentre i 60.000 erano della guerra in Vietnam perché partissero i riflessi condizionati che negano anche la matematica e certi commenti tipo “venga a fare un giro a Bergamo”, come se io non avessi amici e parenti a Bergamo, come se volessi, non si sa per quale motivo, negare la realtà, mi ricordano tanto quelle frasi come “ospitali a casa tua”.

Ma partiamo dall’inizio, c’è un bel libro di Edoardo Lombardi Vallauri intitolato La Lingua Disonesta (e ringrazio Roberto Rossetto per avermelo consigliato) che in uno dei suoi capitoli dice per la comunicazione sociale quel che per la letteratura diceva Umberto Eco: sono molte di più le parole non dette, in un discorso, rispetto alle parole dette e ci sono intere frasi che noi consideriamo dette anche quando non lo sono. È semplicemente il frame in cui sono inserite queste parole, che ne tira a catena altre, che evoca altri ragionamenti che al momento non sono presenti.

Se io in un titolo leggo “l’influenza ha una mortalità più alta del covid secondo uno studio gapponese”, e lo classifico come un discorso insolito o alternativo, ho la brutta abitudine di andare a leggermi l’articolo. Lo so, in Italia non si fa e non capisco perché i giornali non pubblichino solo i titoli, visto che si commentano solo quelli.

L’articolo dice una cosa semplice semplice: dato che la mortalità (ma, ripeto sarebbe di letalità che si parla, ma questo termine usa il giornale e questo usiamo noi) di un contagio è data dal numero dei morti rispetto ai contagiati, più sono i contagiati, più bassa è la mortalità, persino quando i morti sono tantissimi. Questo studio, fatto in Giappone sui Giapponesi e non in Italia sugli italiani, dice che il numero di contagiati sarebbe enormemente più grande rispetto alle stime attuali (e su una malattia in cui molti sono asintomatici mi sembra anche abbastanza ovvio); perciò salendo il numero dei contagiati, diminuisce la mortalità. Niente di nuovo sotto il sole, salvo che si sta cominciando a fare delle stime e credo che alla fine le stime non saranno mai precise se non si conoscono i dati reali (leggo che a Bergamo fino al 10 aprile non si facevano nemmeno tamponi sul personale medico, a meno che non si ammalasse, perciò facciamoci un giro a Bergamo e vediamo come stiamo gestendo gli ospedali in Regione Lombardia!). 

Dunque il titolo avrebbe dovuto semplicemente essere: “Secondo uno studio giapponese il numero degli infettati del covid in Giappone sarebbe molto sottostimato”. 

Certo, con questo titolo non avremmo avuto tutte quelle condivisioni sui social. Ma ci sono alcune domande da farsi: a chi giova una comunicazione di questo tipo? Davvero ha senso che un giornale riporti tale studio? Davvero ha senso che la comunità scientifica diffonda in modo così precipitoso qualunque studio in atto? Perché è inutile prendersela con chi parla delle cose scientifiche in modo poco scientifico, quando basta guardare i book fotografici di Burioni per capire quanto, spesso, la comunità scientifica ami mettersi in posa e diffondere il proprio verbo agli ignoranti, vendendo a loro i famosi libri “divulgativi” salvo poi incazzarsi se gli ignoranti non capiscono. Le piccole zuffe quotidiane tra gli studiosi italici dimostrano quanta vanità ci sia in queste comunicazioni scientifiche e quanto spesso il “prestigio” non riguardi affatto l’affidabilità della comunicazione, ma un vanitoso procedere per gomitate.

Cosa vogliamo comunicare esattamente? Cos’è che un giornale vuole comunicare? Cos’è che gli studiosi ritengono indispensabile far sapere subito?
Sappiamo bene che l’attenzione pubblica rispetto agli studi scientifici influenzerà anche il finanziamento che quegli studi possono ottenere. In altre parole, c’è una grande utilità nell’ignoranza popolare; ma quelle di cui sopra sono domande che bisogna farsi, perché al momento si vede solo l’inseguimento del messaggio emozionale, però con incerti contenuti. E sta purtroppo solo al lettore scegliere cosa ignorare; ma il lettore, come gli scienziati ci dicono, è ignorante e segue l’onda emozionale e la nostra recente storia sociale ci ha dimostrato che si può dirgli tutto e il contrario di tutto ed egli aderirà allo stesso identico modo, se la visione che gli proponiamo tocca le corde giuste. A chi si ponesse il dubbio (inutile) se il sottoscritto si senta esente da questo bailamme comunicativo, possiamo comunicare con tranquillità che il sottoscritto è dotato di un’intelligenza purtroppo media ed è soggetto agli errori di comprensione e di comunicazione della media della popolazione. È una cosa scientifica che, tra l’altro, non si può combattere perché l’intelligenza non s’impara.