Scuola, religione, politica: “Velodimaya” è un’analisi beffarda del rapporto fra uomo e convenzioni
di Giuseppe Barbanti (Nuova Venezia-Mattino di Padova-Tribuna di Treviso * 28/10/2014)
VENEZIA

Natalino Balasso ne ha per tutti al Teatro Goldoni nella “prima” del suo nuovo spettacolo “Velodimaya”, ma, diversamente da troppi suoi colleghi, pur facendo ridere di gusto non esita a mettersi in discussione e stimola il pubblico a fare altrettanto. Un lunghissimo ripiano affollato di riviste e giornali sul fondo della scena, un podio per “concionare” il pubblico quando veste i panni di qualche discussa “personalità”, pacchi di giornali e alcune maschere (che indosserà) sparse sul palcoscenico: questo il contesto in cui si apre la prima di una serie di ficcanti intemerate.
Manco a dirlo affronta subito di petto un tema impegnativo, specie per chi, come l’attore e autore rodigino, ne ha fatto una scelta di vita da trent’anni: la definizione di teatro. E, dopo avercene provocatoriamente elencate tante, praticate ma discutibili, ne sforna una, l’unica forma d’arte del “qui e ora”, “perché devono essere tutti vivi, interpreti e spettatori”, da fare invidia a studiosi e teorici dello spettacolo. Da qui all’individuo, o meglio a come il singolo vive l’evento teatrale, alla sua soggettività. Dopo aver chiamato in causa Schopenhauer e il suo “velodimaya” che deforma la realtà ai nostri occhi, Balasso è lapidario sulle origini di questo stacco: “Ciascuno ha un Puffo che gli proietta il film che vuol vedere”. Da qui a Colin Powell, il segretario di stato di Bush, a relazionare con toni aggressivi all’assemblea delle Nazioni Unite sulle armi chimiche in Iraq con una originale rivisitazione in chiave contemporanea della favola “Il lupo e l’agnello”. Ma l’individuo è più che mai al centro di “Velodimaya” e Balasso, per spiegare il nostro presente, fa rileggere al pubblico a suo modo, fondatamente critico, infanzia, adolescenza e giovinezza. “Appena nati piangiamo perché abbiamo capito tutto e la sberla che riceviamo sul sedere non è che il primo ciak del film della nostra vita” prosegue l’attore nella metafora vita-film. Il rapporto con i genitori, quello con la scuola (“Demonizzano l’errore, il rischio che ogni creativo sa di dover necessariamente correre. E così diventiamo tutti mediocri!”), quello con la religione sempre sul filo di grottesche reminiscenze autobiografiche. Ma anche la politica fa capolino: frecciate per il sindaco di Padova Bitonci e per la sinistra (“un club di snob attirati dai soldi”). E via con i “magnaschei” e il mercato che “ti obbliga a farti solo le domande a cui sa dare lui una risposta”. Insomma un travolgente e euforico (anche per la sua “prima volta” in uno spazio del Teatro Stabile del Veneto) Natalino Balasso che invita il pubblico a far leva sull’energia interiore di “resistenti” per sottrarsi alle pressioni di una società che guarda agli individui solo per condìzionarli.
Natalino Balasso sarà con “Velodimaya” il 15 novembre al Teatro Luigi Russolo di Portogruaro, il 21 al Cinema Teatro Giardino di San Giorgio delle Pertiche, il 22 al Teatro Villa dei Leoni di Mira, il 10 e l’11 gennaio al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Lonigo, il 16 gennaio al Teatro Astra di San Giovanni Lupatoto, il 28 febbraio al Cinema Teatro Astra di Schio.