Messaggero Veneto – 30 Novembre 2006
Natalino Balasso, attore a tutto tondo
di: Mario Brandolin

Era stato l’ultimo spettacolo da attore tradizionale (non ancora cioè one man show, campione e precursore di quel teatro di narrazione , la sola vera dirompente novità nel panorama teatarle italiano degli anni 90) di Marco Paolini, una quindicina di anni fa. Ora il capolavoro di Luigi Meneghello, Libera nos a malo – saga di un veneto profondo contadino e preindustriale – torna in teatro affidandosi alla verve comica di un altro attore veneto, di Natalino Balasso , l’altra sera al suo debutto regionale al Teatro Verdi di Codroipo. Una verve comica, quella di Balasso distante anni luce dalla demenzialità di stampo cabarettistico televisivo che l’ha reso celebre e dalla quale Balasso si è affrancato con un convincente e gustosissimo Ercole in Polesine della scorsa stagione e ora, dimostrando una piena maturità di interprete e di attore tout court con la riproposizione di Libera nos: stessi autori, il già citato Paolini con Antonia Spaliviero e Gabriele Vacis, anche regista. Stessa scenografia: due teli di garza bianca, altrettanti schermi rotanti sullo scheletro di una sorta di gazebo quadrato al cui centro pende una grossa lampada di scena e stesso compagno, Mirko Artuso. E soprattutto stessa storia, stesse atmosfere linguistiche, quel meraviglioso dialetto vicentino che Meneghello ha reinventato con la forza e l’intensità di un poeta.E il racconto di un’infanzia, dell’aprirsi alla vita di un gruppetto di ragazzini – tra cui Gigi, l’autore, interpretato da Balasso, e l’imprevedibile e strambo Cicana , cui dà voce e corpo un allampanato e scarmigliato Mirko Artuso- in un paesino del Veneto nel pieno degli anni 50.
Un racconto fatto di tanti episodi, spassosi, divertenti e ironici: le baruffe e le guerre con quelli degli altri paesi, le gare tra maschietti, le ingiunzioni della Chiesa, repressiva e sessuofoba, l’incubo degli “atimpùri mortalissimi” (ma senza acrimonia, con affetto quasi e anche una punta delicatissima di nostalgia per tempi in cui forse di paletti ce n’erano troppi , ma grazie a Dio c’erano!), le prime scoperte dell’altro sesso (le bambine da prima chiamate cavre e poi oggetti di una curiosità ancora oscura e vaga) , l’iniziazione all’amore con la bella vedova del paese, il diventare grandi e l’emigrazione, chi all’estero (come Meneghello) e chi come Cicana nell’andare via da se stessi pur rimanendo al paese e finire nel vicoo cieco della follia. ..
Libera nos continua ad essere un piccolo e commovente , oltre che assai coinvolgente, compendio di un mondo di ieri di autentica umanità.
Non c’è nella scrittura di Meneghello e nello spettacolo di Vacis e Balasso (chè l’apporto comico di quest’ultimo ha decisamente il suo peso determinante, ma non sviante, restando intatto il fascino evocativo dell’incontro) quella vis polemica, quella passionalità che ha contraddistinto, per esempio, l’ultimo Pasolini – anche lui impegnato a contrapporre la “sanità” del mondo arcaico contadino e lo sfascio morale e civile della modernità. Libera nos dice tutto questo e anche altro, non ultimo il richiamo forte all’uso della lingua , una lingua non alienata, una lingua come conoscenza, come consapevolezza: “Gigi, ciama le robe che le resta co ti fin alla fine” è, nel suo delirio da matto, l’ultimo appello del Cicana all’autore venuto a trovarlo e che chiude uno spettacolo piccolo, ma di grande indiscutibile suggestione e di grande forza emotiva. e che per gli spettatori più grandi è una piacevolissima e toccante full immersion nel proprio passato e per i più giovani ( e tanti c’erano a Codroipo) , la scoperta che si poteva vivere , e pienamente, anche senza tv e Internet.
Lunghi calorosissimi e meritatissimi gli applausi da un teatro stracolmo ai due interpreti, una coppia affiatata e assai ben assortita. Si replica in regione ancora stasera al Bon di Colugna.