In scena fino al 28 ottobre 2018 al Teatro Carignano di Torino

di Francesco Roma (Teatrionline * 23/10/2018)

Finalmente l’Arlecchino di Goldoni ha svelato ciò che, pur essendo sotto gli occhi di tutti, è sempre riuscito a occultare. Esiste una storia, una storia fatta di soprusi, vessazioni, violenze che la Venezia del 1745 (anno in cui è stata scritta) come la nostra società di oggi accetta, tollera e giustifica così come esistono persone che a queste leggi non scritte si ribellano, lottano e vanno contro pagando in prima persona le proprie scelte e le proprie idee. Prendo fiato. Davvero questo spettacolo, che penso di avere visto in almeno 3 versioni differenti, senza parlare degli adattamenti televisivi e delle riscritture varie, è sempre riuscito (almeno con me) a mettere in primo piano le agilità, le furbizie, e la eloquenza di un Arlecchino troppo invadente e troppo svelto a seguire il vento. In realtà il testo del Goldoni dice altro. Nella presentazione dello spettacolo, Mercoledì 10 ottobre 2018 ore 17,30 al Teatro Gobetti, in occasione di una bella iniziativa che si chiama Retroscena, dove il pubblico incontra i protagonisti dello spettacolo in cartellone in quei giorni, il regista e gli attori l’hanno spiegato bene. Soprattutto Binasco, regista che apprezzo sempre di più per la mancanza di teatralità nell’esporre le sue idee, ci ha detto di essere rimasto colpito dalla rilettura dell’Arlecchino perché il nucleo di tutto è una storia d’amore. Pur considerando la versione di Strehler un capolavoro assoluto, c’era dell’altro da raccontare e lui lo ha fatto. E davvero il Truffaldino originale, diventato poi Arlecchino, interpretato da Natalino Balasso è molto diverso dall’originale Marcello Moretti (che lo lascerà, alla morte, a Ferruccio Soleri). Questi storici interpreti attiravano su di sé la completa attenzione del pubblico mettendo in secondo piano lo scontro generazionale padre-figlio, la sottomissione delle donne da cui si pretendeva ubbidienza assoluta, il rapporto padrone-servo che ancora vedeva al suo interno una differenziazione servo-serva. Il periodo storico in cui visse il Goldoni era testimone di questi momenti di ribellione, e lui non poteva esimersi dal raccontarli e al contempo prendere posizione. Il Teatro Carignano, per me il più bel Teatro di Torino, era pienissimo di gente (o meglio sold-out), ben predisposta a passare quasi tre ore (2 ore e 40 di spettacolo più l’intervallo) seduta su una poltrona per un passaparola che dava, a ragione, questo spettacolo fra i più interessanti della stagione. Con due divi cittadini: Michele di Mauro e per adozione Valerio Binasco, insieme a un Natalino Balasso molto apprezzato per produzioni passate. “El se stà propi beo, ciò” per dirla con il dialetto che si usava, un misto Veneziano-Rovigotto-Padovano molto comprensibile ed efficace. Non usavano le maschere ed anche i costumi non erano del ‘700, ma le caratteristiche di ogni attore risaltavano come e più se indossassero maschere e costumi. Le scelte scenografiche apparentemente semplici ma geniali, creavano in pochi istanti, grazie a pannelli che scendevano o salivano, luoghi e spazi da nuove ed originali prospettive. Due momenti mi sono rimasti impressi: come gli attori avvisano il pubblico che è il momento dell’intervallo ed il momento della dichiarazione amorosa di Arlecchino a Smeraldina. La recitazione serrata e con ritmi diversi raccontava di un percorso di ricerca attoriale lungo ed in evoluzione. E poi si divertivano in questa versione che era corale e non di primo attore, tutti erano molto presenti in scena, ed il pubblico rideva. Si divertiva, applaudiva spesso e partecipava con entusiasmo. Ma c’era anche dell’altro. Un filo di tristezza ti rimaneva attaccato uscendo dal teatro. Forse la consapevolezza che Arlecchino siamo tutti noi, quando ci arrabattiamo per risolvere problemi esistenziali, che la differenza uomo-donna è ancora forte, che i ricchi sono ancora padroni ed i poveri sono sempre servi che sperano nel loro perdono.
La storia inizia così: “Al centro della commedia troviamo Truffaldino, servo di due padroni, che, per non svelare il suo inganno e per perseguire il suo unico intento, ovvero mangiare a sazietà, intreccia la storia all’inverosimile, creando solo equivoci e guai. La commedia si apre a Venezia in casa di Pantalone de’ Bisognosi, anziano mercante che sta assistendo alla promessa di matrimonio tra sua figlia, Clarice, e Silvio, figlio del Dottore Lombardi. I due sono innamorati ed è una fortuna che possano promettersi, dato che Federigo Rasponi, agiato torinese cui Clarice era destinata, è morto in una lite a causa della sorella di lui, Beatrice. Alla promessa assistono Smeraldina, giovane serva di Clarice a casa di Pantalone e Brighella, locandiere veneziano che fa da testimone”.