di Giulio Baffi (Repubblica di Napoli – 22/10/2024)
Commedia poco amata dal pubblico, “favola in tre atti” difficile da mettere in scena per chiarezza ambigua e tranelli difficili da superare. Ci riesce Gabriele Russo, regista libero e forte, sicuro del rapporto con i suoi attori
Mettere in scena il gran teatro di Eduardo, ricordarne la scrittura e la fatica d’attore e regista, ma senza giocare a ricalchi e rimandi, citazioni ed omaggi, ché finalmente, e forse definitivamente, è giunto il momento, a quarant’anni esatti dalla sua scomparsa, vivere la sua grande lezione non come ombra lunga che si protende ad occupare spazi mentali e visionari, ma come fonte di un nuovo teatro da rappresentare. Quel teatro nuovo che Eduardo stesso sognò e mise in scena, a volte senza essere ben compreso da un pubblico che ne preferiva il gioco della comicità educante, la critica che poteva sembrava bonaria. Mentre invece Eduardo feriva, e andava a fondo in quegli anni di bugie spudorate e connivenze politiche che imbrattavano la società facendola malata di mali inguaribili.
Così fu per “La grande magia” commedia del 1948, poco amata dal pubblico che la confuse scrollando le spalle e pensando che il “maestro” Pirandello stava complicando vita e pensiero di quel suo “allievo”. Allievo che oggi ci parla invece con voce chiara con questa sua “favola in tre atti” difficile da mettere in scena proprio per chiarezza ambigua e tranelli difficili da superare. Ci riesce Gabriele Russo affermando con forza la sua qualità di regista libero e forte, sicuro del rapporto con i suoi attori, che deve aver scelto con cura ed avendo ben chiaro in testa un progetto altrimenti impossibile. Scelti affinando un esemplare intuito, tutti.
A incominciare da Michele Di Mauro a cui ha offerto il ruolo di Otto Marvuglia, prestigiatore, imbroglione, carogna, disperato, che Di Mauro con gran forza d’attore ha venato di comicità incattivita, di pietà trattenuta, di rimorsi e di ricordi in sussulti, ricacciati indietro in una vita di apparenza già miserabile, come uno dei tanti “scavalcamontagne” che hanno fatto eroico il teatro e la sua storia. Gabriele Russo gli ha messo vicino il gran talento d’attore di Natalino Balasso con l’insicura forza ostinata del suo Calogero Di Spelta, a crearne la disperazione dissennata ed ottusa, avvinghiato com’è a quella sua cassetta di latta in cui tiene rinchiusa la felicità che gli manca.
Gente infelice di un tempo infelice e bugiardo che sembra non dover mai finire, che Eduardo regala al teatro con irrinunciabile sofferenza, che Gabriele Russo si è caricato in spalla con cirenaica pazienza e sapienza cancellando gli inutili riferimenti visibili e possibili, le verità non più necessarie che fermano il tempo e lo spazio e, con la complicità geniale di Roberto Crea ha messo in una nebbia che rende lo spazio indecifrabile nel tempo e nel colore. Così la favola di Russo e di Eduardo diventa sogno, incubo, visione, ironia, nel soffio improvviso e forte nella verità beffarda delle macchine che scompigliano foglie e fiori del paradiso terrestre fatto inferno.
In questa dimensione da lieto purgatorio astioso si svolge l’azione, il gioco d’illusione, la bugia combinata, il tradimento e la fuga degli amanti. Ed ogni verità finanche il dolore della malattia piò sembrare bugiardo. Perché gli attori, tutti, hanno sposato a pieno le intuizioni e le scelte della regia riscattando nel gioco infinito e dubbioso della vita il tempo lento e lungo della commedia che li trascina, in doppi personaggi e apparizioni, nella terza parte, o atto che qui non ha cesure nel continuum delle quasi due ore di spettacolo.
E c’è da dare testimonianza di bravura e merito a tutti loro che affiancano i memorabili Di Mauro e Balasso, a cominciare da Gennaro Di Biase davvero molto bravo a fare gioco per il suo sciocco Mariano D’Albino e per l’inutilmente prepotente Brigadiere di Pubblica Sicurezza, a Sabrina Scuccimarra che è Zaira moglie e complice di vita e d’arte di Marvuglia, ad Anna Rita Vitolo (Signora Zampa e Matilde madre Di Spelta), a Veronica D’Elia (Amelia Recchia), a Christian di Domenico (Arturo Recchia e Gregorio Di Spelta), a Maria Laila Fernandez (Signora Marino e Rosa Di Spelta), ad Alessio Piazza (Gervasio e Oreste Intrugli genero Di Spelta), a Manuel Severino (Cameriere e Gennaro Fucecchia), ad Alice Spisa (Marta Di Spelta e Roberto Magliano), in un concertato di tempi e pensieri a creare inquietudini.
Le luci di Pasquale Mari sembrano create per rarefare esse stesse i pensieri e le azioni, e così le musiche di Antonio Della Ragione che ne seguono misteriosamente i ritmi e le ansie. A tutti la concreta ironia dei costumi di Giuseppe Avallone dà forma e misura. In sala, tra il pubblico, ringraziato dal regista e capocomico, Tommaso De Filippo, figlio di Luca, nipote di Eduardo, giovane erede di una responsabilità grande, quella della fiducia e della scelta per cui e con cui far vivere ancora e a lungo il più prezioso ed amato patrimonio del teatro del novecento. Sala gremita, successo pieno, repliche fino a sabato 2 novembre.