INTERVISTA
Da Altreconomia
di Pietro Raitano — 23 agosto 2014
Il consumismo e l’utilità sociale, il lavoro e il tempo libero da utilizzare per dedicarsi a comprendere una società complessa. Intervista a Balasso, che ad Altreconomia dice: “La cultura dovrebbe permeare un’intera società, la conoscenza e la curiosità dovrebbero essere le cose che spingono l’essere umano ad andare avanti, perché a questo siamo programmati”
Provate voi a restare seri guardando Natalino Balasso, anche se le cose che dice sono serissime. Il problema è come le dice: un’irresistibile miscela di accento veneto, paradossi e verità. Cercatelo in teatro o almeno godetevi “Telebalasso”, il canale youtube dove pubblica interventi e parodie: sotto la coltre della commedia, come da copione, la feroce critica alla società dei consumi e alla politica. Tra testimonial di slot machine e l’epopea dei magnaschei, fino al telefono fatphone (“che cosa te ne frega a che serve: quando lo avranno tutti sarà irrinunciabile”).
Balasso, come funziona la “società dei consumi”?
Le associazioni dei consumatori sono il primo gradino della schiavizzazione. Usare la parola “consumo” che è un termine inesorabile ci catapulta all’interno di un noir, in cui le cose si “consumano” senza possibilità di ritorno. Noi non siamo “consumatori” ma utilizzatori, esseri umani che tentano di usare il mondo, chi parla di consumo lo usa malissimo.
Noi vediamo un ruolo strategico dell’informazione: esiste ancora l’indipendenza? Esiste ancora la qualità?
La qualità dell’informazione in Italia è sotto gli occhi di tutti. Con la complicità dei giornali (ma non dobbiamo dimenticare che i giornali appartengono a qualcuno), i giornalisti sono diventati sempre meno determinanti. Le paghe basse, la confusione creata da una free press che di free non ha proprio niente, le piccole roccaforti dei divetti con firma, hanno fatto il resto. L’informazione in Italia non c’è, c’è la tv, l’intrattenimento a cui pigramente si abbandonano gli italiani che non vogliono essere informati ma solo passare il tempo.
Oltre alla tv c’è ormai soprattutto internet: come condiziona le nostre vite, come le isola e ci “immunizza”?
Nessuno mi dà retta, ma continuo a dire che internet non è né più né meno che l’automobile della comunicazione.
Non è che prima dell’automobile nessuno viaggiasse, l’automobile ha semplicemente moltiplicato all’ennesima potenza ciò che avveniva prima. Le distanze si sono accorciate, la gente si è mossa, ma si è mossa portandosi dietro tutte le magagne che aveva quando non si muoveva. In internet tra un po’ ci saremo tutti, portandoci dietro il nostro elefantiaco sistema di pensiero e la nostra scarsa propensione a comunicare attraverso contenuti. La nostra comunicazione è ormai ridotta alla funzione fàtica, è cioè una comunicazione che serve solo a stabilire che c’è una comunicazione.
In politica possiamo ancora parlare di “beni pubblici” e del “bene pubblico”?
C’è uno svilimento del concetto di “pubblico” nel nostro modo di intendere il pubblico. Ormai tutti pensano che pubblico sia ciò che attiene alla burocrazia statale. Le cose non stanno così: una valle, anche se appartiene a qualcuno, è pubblica; un’opera d’arte, anche se appartiene a un privato, è pubblica; l’acqua è pubblica, non c’è privatizzazione che le toglierà questo aspetto, perché l’acqua è acqua e noi ne siamo semplici utilizzatori. Ciò che deve essere chiaro è che quando gestiamo un edificio, un teatro, un acquedotto, una linea ferroviaria o elettrica, gestiamo qualcosa che è di tutti e ne dobbiamo avere la cura che se ne ha con le cose care. Se lo vediamo come un’occasione di profitto e non come un’opportunità per la comunità, vuol dire che siamo cresciuti con un’idea malata di comunità. Il nostro problema è quindi culturale, perché non importa che una cosa pubblica sia gestita da un privato, importa che questo privato appartenga a una società che ha un rispetto religioso di ciò che è di tutti. Questo oggi non avviene, di qui deriva il nostro equivoco tra pubblico e privato, tra bene comune e bene privato.
Lavoro: la mancanza di occupazione è un dramma, ma è possibile immaginare modelli nuovi e alternativi?
Il lavoro è solo un modo per organizzare la produzione di beni e servizi, la paga è ciò che permette a chi ha lavorato di usufruire di parte dei beni e servizi a cui egli stesso ha contribuito. Potevamo organizzare la società in altri modi, ma sempre ci sarebbe stata necessità di uno scambio: io faccio una cosa per ottenerne un’altra, se questa cosa significa aggredire un orso o inviare delle mail, cambia il tasso di adrenalina ma non la sostanza della cosa in sé. Voglio dire che oggi siamo organizzati ancora secondo le regole che hanno organizzato le società del neolitico. Oggi però siamo in grado di immaginare molte più cose, di produrre molte più cose. Potremmo essere liberi e lavorare due ore a settimana, invece ci facciamo il culo e inneggiamo a bandiere, partiti, confini, razze, dèi e stupidaggini neolitiche. Questi rapporti di schiavitù li abbiamo scelti noi, e sembra che vogliamo tenerceli ancora a lungo. Il lavoro è qualcosa di cui liberarsi per fare altro, per conoscere, divertirsi, aiutare qualcuno; non è un concetto su cui fondare una nazione.
Lei lavora nella cultura: qual è lo stato di salute della cultura in Italia? È ancora un’eccellenza?, lo è mai stata?, che fare per sostenerla?
L’idea di sostenere la cultura è un’idea, di per sé, da sottocultura. La cultura dovrebbe permeare un’intera società, la conoscenza e la curiosità dovrebbero essere le cose che spingono l’essere umano ad andare avanti, perché a questo siamo programmati. Oggi, grazie all’organizzazione che abbiamo raggiunto, possiamo permetterci di lasciare ad altri la curiosità e la conoscenza, e di lavorare per pagare queste persone, le quali ci dicono cos’è la vita, quali sono i rimedi per le malattie, come dobbiamo pensarla, come è meglio che ci comportiamo; costoro ci impongono modelli di divertimento e di conoscenza, ci fanno immaginare l’erotismo che piace a loro, ci fanno pensare che il divertimento è ciò che diverte loro, che le opere d’interesse siano ciò che interessa a loro. Questo ovviamente ha generato rapporti di schiavitù. Se ci facciamo caso, la maggior parte della curiosità e della conoscenza è indirizzata alla guerra e al profitto di poche persone, le quali sono riuscite a convincere tutti gli altri che c’è necessità di guerre, che c’è necessità di crescita produttiva e che c’è necessità del loro personale profitto per il bene di tutti. Siamo un super computer da un milione di dollari che funziona con un sistema operativo Windows 3.1. Se non capiamo che la crescita avverrà solo se tutta l’umanità cresce, resteremo in questa condizione di primitivi che pigiano tasti senza sapere che fanno. La cultura è il velo che avvolge questo corpo in putrefazione e ne prende piano piano il marcio e gli odori. Noi ci stiamo trasformando in insetti necrofagi e ci nutriamo di morte, andiamo a vedere i dipinti dei pittori morti pensando che, siccome sono morti, sono più importanti, leggiamo quegli autori che il club degli intelligenti ha deciso siano gli autori da leggere. Quando produciamo immaginazione, produciamo standard. Basta vedere i premi letterari, i premi cinematografici, i premi musicali: è premiato chi produce un’opera che somiglia ad opere del passato che sono state importanti. Creiamo linguaggi nuovi che sono già vecchi il giorno dopo, perché di nuovo hanno solo il velo che ricopre il cadavere. Noi possiamo dare il significato che vogliamo alla parola “cultura” ma sarà sempre il prodotto di qualcosa che ci somiglia, oggi noi siamo questa roba qua. Bisogna farci i conti, ma bisogna anche prendersi la responsabilità di educare gli altri, a costo di deluderli. —
La TV è Telebalasso
Attore, comico e autore di teatro, cinema, libri e televisione, Natalino Balasso è nato nel 1960 a Porto Tolle, in provincia di Rovigo, località nota per le centrali dell’Enel, luogo simbolo dello scontro tra benessere e tutela del territorio da un parte, interessi economici dall’altra.
Debutta nel 1990 a teatro, all’età di 30 anni, e solo otto anni dopo in tv (diviene famoso grazie a “Zelig” e “Mai dire Goal”). L’ultima turné con “Aspettando Godot” di Samuel Beckett. Al cinema arriva nel 2007 (l’ultima pellicola, del 2010, è “La Passione”, per la regia di Carlo Mazzacurati), mentre i primi libri ormai hanno 20 anni (oggi ne ha all’attivo
una decina).
Il sito ufficiale è www.natalinobalasso.net ma imperdibile è anche Telebalasso, il suo canale youtube: www.youtube.com/user/natalinobalasso