Smith & Wesson

Testo di Alessandro Baricco
Regia di Gabriele Vacis
Scenofonia-stile, suoni & luci di Roberto Tarasco
Produzione: Teatro Stabile del Veneto/Teatro Stabile di Torino
con: Natalino Balasso, Fausto Russo Alesi, Camilla Nigro, Mariella Fabbris

E’ raro che io metta in scena testi teatrali.
Di solito li scrivo con gli attori, i testi.
Di solito, più che scritti, sono trascritti. Cioè: parlo con gli attori, che di solito sono anche autori, o, come dicevo un tempo, autori della loro presenza in scena. Poi improvvisiamo, costruiamo situazioni per l’azione e così nascono gli spettacoli.
Cioè: di solito lavoro per “composizione” più che per “mettere in scena” testi.
I testi teatrali mi sembrano sempre “troppo scritti”.
Ho “usato”, per i miei spettacoli, testi di Shakespeare, di Goldoni, di Moliére… Ma sempre come pre-testo. Come materiale per il lavoro di composizione.
C’è una sola eccezione. Un testo l’ho messo in scena: Novecento, di Alessandro Baricco. Ma è un’eccezione in tutti i sensi. Baricco ha scritto quel testo perché lo mettessi in scena io, con Eugenio Allegri.
E la stessa cosa è accaduta per Smith & Wesson. Baricco è venuto a vedere “Rusteghi, i nemici della civiltà”, spettacolo che avevo tratto da Goldoni, e gli è venuta voglia di scrivere uno spettacolo.
Baricco ha visto molti dei miei spettacoli, conosce il mio lavoro, come io conosco il suo. Negli ultimi vent’anni abbiamo condiviso molte esperienze, sul palcoscenico come nella scuola Holden. Così si realizza uno scambio ideale che mi permette di “usare” quello che scrive come se fosse il frutto di una composizione. Infatti, l’ho detto: Baricco non ha scritto un testo, ha scritto uno spettacolo.
La scrittura di Baricco contiene l’azione. Quello che si deve fare è estrarla. Considerando una cosa che a me piace molto: Baricco non ha paura dei sentimenti. Però se ne vergogna sempre un po’. E’ una cosa che io capisco molto bene. Siamo tutti e due di Torino. Quindi gli attori devono trovare un equilibrio tra l’ironia e la verità del dramma: molto difficile. Ci vogliono attori particolari, come Allegri per Novecento.
Credo che Baricco abbia letto questa sensibilità nella presenza di Balasso, quando lo ha visto nei Rusteghi. Balasso sarà Smith.
Bisognava trovare Wesson. E questo mi ha dato l’opportunità di regolare un conto aperto con Fausto Russo Alesi. Fausto è stato mio allievo alla Paolo Grassi. Lo conosco da quando aveva diciotto anni e si è presentato alle audizioni della scuola. Mi è subito piaciuto quel ragazzino che arrivava a Milano dalla Sicilia con una energia smisurata. Così nel corso della scuola quella forza l’abbiamo misurata e giorno per giorno la vedevo sempre più controllata e consapevole. Però dopo la scuola non avevo più avuto occasione di lavorare con Fausto.
Eccoci qua: per me in uno spettacolo devono incrociarsi percorsi, memorie e sentimenti.
Non so ancora bene come farà l’attrice che interpreterà Rachel a “comprendere” questo mondo di vecchi amici. E’ un personaggio complesso Rachel. E’ il motore dell’azione. Smith e Wesson, se non ci fosse Rachel sarebbero Vladimiro ed Estragone. Due simpatici farabutti, cinici, un po’ meschini ed inconcludenti. Rachel, per Smith e Wesson è Godot. Infatti lei arriva…
E poi c’è la signora Higgins. Lei è il “deus ex machina”. E’ presente dalla seconda battuta ed è continuamente evocata. E anche lei, a differenza di Godot, alla fine appare. Al momento confesso che non so ancora come sarà la signora Higgins… Baricco ha disseminato il testo di trabocchetti per il regista… O meglio, di sfide. Me lo immagino, mentre scriveva, e pensava: voglio proprio vedere come farà a risolvere questa… Tipo i due che dialogano sulla cascata o tutto il teatro che deve diventare la botte in cui si butta Rachel. Dev’essersi divertito parecchio… La signora Higgins è uno di questi scherzi: appare con un monologo formidabile, ma fa solo quello. Insomma, non so ancora con certezza come sarà questa signora Higgins… Una proiezione?… La giovane interprete di Rachel, che di venta la signora?… Boh! (come ripete spesso Smith). Forse l’unica è affidarsi ad una vecchia amica. Una signora che abbia condiviso con noi un bel po’ di strada…

Gabriele Vacis

Balasso super

INCONTROSCENA / “Un risultato eccellente”
Al Lirico il comico veneto ha fatto il tutto esaurito. Consensi unanimi.

(Libertà * 19/02/2016)

Lo scorso 12 febbraio si è tenuto il secondo attesissimo appuntamento di Incontroscena, al Teatro Lirico di Magenta – rassegna di drammaturgia contemporanea organizzata da Teatro dei Navigli e realizzata con il contributo di Comune di Magenta, di Regione Lombardia, di MIBACT e di Fondazione Ticino Olona- riscuotendo un notevole successo sia di pubblico che di critica e registrando il SOLD OUT con uno spettacolo d’eccezione, Stand Up Balasso! di e con il noto omonimo comico. Il famoso mattatore ha intrattenuto per 2 ore 456 spettatori in una vera e propria odissea, con una singolare capacità di suscitare riso e divertimento dalle cose più semplici, ben lontani da sterili volgarismi. Una comicità sana e diretta, apprezzatissima dal gremito Teatro Lirico. Un risultato eccellente e un successo da record per gli organizzatori di Teatro dei Navigli, la cui mirata programmazione teatrale al Lirico di Magenta sta riscuotendo risultati davvero notevoli replica dopo replica. Tanti gli spettatori che -nonostante il Sold Out fosse stato già annunciato tramite molteplici canali di comunicazione – si sono palesati in biglietteria sperando di poter entrare per qualche rinuncia ‘last minute’. Per le numerose persone che non sono riuscite ad assistere al graditissimo spettacolo, non ci resta che sperare nella programmazione di un nuovo spettacolo di Balasso!
La produzione Teatria, ha portato in scena il meglio di 10 anni di Balasso in un monologo tutto da ridere, accompagnato solo da un microfono vintage e un occhio di bue. La sua comicità ha fatto il resto. Natalino Balasso – viaggiando tra giochi di parole, arricchiti da comiche espressioni venete dialettali – ha abilmente spaziato dall’Odissea al tema dell’amore, dalla guerra di Troia al museo della Mummia di Bolzano, dagli ‘studi’ sui sumeri alla discesa nel Delta del Po di San Pietro e Gesù Cristo. Un vero e proprio tsunami di comicità che ha sapientemente travolto il pubblico con virtuosismi tecnici e con la contemporanea leggerezza di una comicità spontanea. Uno spettacolo unico, che -seppure con la leggerezza di un sorriso- non rimane fine a se stesso, ma lascia al suo pubblico un segno. Applausi lunghi e scroscianti per Balasso, che ha saputo davvero conquistare e incantare il Teatro Lirico di Magenta al completo.

Incontroscena al Lirico di Magenta: Natalino Balasso ci fa naufragare in un mare di risate

di Alessandra Branca (Assesempione.info * 15/02/2016)

Magenta

Due ore fitte fitte e non-stop di “stand up” Balasso: che goduria! e che sganasso! la ruspante comicità di Natalino Balasso fa rovesciare dalle sedie gli oltre 500 spettatori del teatro Lirico di Magenta. Posti esauriti da settimane, al botteghino del teatro molti avventori in cerca di qualche posto dell’ultimo minuto per assistere allo spettacolo dell’attore esploso alla popolarità con il cabaret dello Zelig ma che vanta una nutrita e policrome carriera di attore ed autore.
Con la scusa di doverci raccontare l’Odissea, Natalino Balasso ci fa naufragare in un mare di risate, estraendo storielle e gags dalle più alte fonti della nostra cultura di formazione base (ed identità culturale): da Omero al Vangelo passando per il Polesine. Uno stand up a base antropologica e classica, quello di Balasso che gioca con personaggi e vocaboli, nuove parabole popolari ed aneddoti di vita quotidiana a casa propria. Una vera e propria pièce comica imbastita su un testo solo apparentemente svagato ma che ha una sua scansione ben dosata.
L’autore scorrazza nel tempo e nello spazio prendendo spunto dalle due bibbie della nostra cultura all’anno zero e con incursioni in episodi variegati che ci portano alla mummia di Bolzano, uomo che visse 5000 anni fa, come ai suoi nonni od ai vicini di casa con la figlia di ritorno dallo Sri Lanka. Testo e sovratesto, Balasso usa con sapienza e mestiere l’arte della comicità attingendo agli strumenti che ne han sempre fatta la grandezza (alla faccia degli snobismi): dai giochi di parole ad incastro, all’utilizzo di ripetizioni, ritorni, pause, divagazioni, registri differenziati di linguaggio. Il tutto veicolato da un’interpretazione ruspante e dal tocco di Delta del Po che rimane certamente l’impregnante più vivo della sua recitazione. Si capisce che il Natalino non è affatto un comico da cabaret della grossa; senza -grazie! – perdersi in inutili eventuali intellettualismi e sempre attingendo a materiale alla portata di tutti (appunto, le basi della formazione scolastica obbligatoria o del costume religioso dell’infanzia), Balasso sciorina le sue storie ironiche ed affettuose con fare irresistibile, sommando risata su risata e gestendo ad arte l’effetto sul pubblico. L’arte comica di Natalino Balasso è tutt’altro che improvvisata, e si sente.
Complice una sua multiforme curiosità di uomo e autore, il testo che propone non risulta mai banale (e di certo mai sbragato, come si usa in tv); comprensibile da chiunque, e per questo ancor più apprezzabile, la complessità risiede nella sua costruzione, la quale non grava mai sul pubblico (cavallo di Troia?); un’idea (“ideona!”) semplice complessa semmai la costruzione. Il segreto della comicità. L’impianto regge a tutte le incursioni fuori e dentro il presunto racconto principale (il movimento è quasi imitazione di quello di Ulisse nel Mar Egeo, non casualmente proprio il pretesto narrativo della piéce), disseminando risate ad ogni battuta ad ogni passaggio. Vent’anni e più di esperienza ci sono e si sentono. L’arte di fare lo spettacolo dal vivo, testandolo sul pubblico e correggendo e modificando (l’andamento del fiume, magari il Po?) a seconda della risposta del pubblico. La comicità non si improvvisa ed è arte tra le più ardue. Al termine dello spettacolo, dopo aver fatto rovesciare la gente dalle poltrone dal ridere, è lo stesso Natalino a ricordare, tra il serio ed il faceto all’interrogante Luca Cairati, direttore artistico di Incontroscena – Teatro dei Navigli: “Il teatro è l’unica arte fatta da autori vivi davanti a persone vive!” (una battuta che nasconde una lezione di estetica, attenzione!). Infatti. e allora evviva il teatro! quello comico fatto bene, di più!

La “cativisìma” commedia di Natalino Balasso è troppo perfino per Rai5

di Andrea Giambartolomei (Il Fatto Quotidiano* 07/02/2016)

LO SPETTACOLO Epopea Veneta

“IN QUESTO SPETTACOLO ci sono un po’ troppe parolacce”, dice al pubblico il presidente del partito interpretato da Stefano Scandaletti. E’ la stessa cosa che hanno pensato in Rai quando hanno visto la registrazione de La cativìssima -Epopea di Toni Sartana, commedia satirica scritta e interpretata da Natalino Balasso e prodotta dal Teatro Stabile del Veneto. E cattivissima, questa commedia, lo è davvero. Sartana (Balasso) è il sindaco-sceriffo di Pontegara, comune della “Regione Serenissima”, e -spinto dalla moglie Lea (Francesca Botti)- mira a diventare “assessore ai sghei”, ai soldi, per farsi corrompere meglio dei predecessori.

C’è un problema, però, ed è il suo rivale, il ricco Benetti, ma viene ucciso grazie all’alleanza del sindaco con il capo ultras Bordin (Andrea Pennacchi). Questo sarà solo il primo degli omicidi che porterà Sartana a essere l’assessore unico della Serenissima: “La cosa pubblica è cosa nostra adesso”, dicelamoglieLea.

Tra parolacce, frasi blasfeme (il faccendiere al quale parla telefonicamente di donne e soldi si chiama don Bruno) e “macchina della palta” per far fuori i rivali, il sindaco di Pontegara scala le gerarchie, ma di mezzo si mettono la vedova di Bennati, Sabina (Silvia Piovan) e un’aiutante voltagabbana, Fiammetta (Marta Dalla Via).

L’ultima tappa della tournée sarà oggi pomeriggio alle Fonderie Limone di Moncalieri (Torino) e poi basta. Chi se lo è perso non potrà vederlo su RaiCinque. Da viale Mazzini, dopo avere mostrato interesse, hanno mandato una lettera a Balasso chiedendogli di cambiare un po’ di cose: “Hanno chiesto di eliminare il turpiloquio, ma i personaggi non possono non parlare così, le parolacce servono per rappresentarli”. Non solo. “Volevano che eliminassi due riferimenti alla Bibbia e al Vangelo e togliere la scena in cui Lea tocca il pacco a Bordin”. L’attore ha respinto le proposte al mittente: “Non posso permettere alla Rai di sindacare sul mio testo”. Finita la tournée, Balasso tornerà a lavorare sulla seconda parte dell’epopea: “Nel marzo 2017 porterò in scena Sartana, Lea e Bordin per rappresentare un’altra ascesa, questa volta imprenditoriale. Nel 2018 invece ci sarà l’ultima parte e sarà un’ascesa spirituale”. E saranno tutte “cativissime”.

Balasso e il Veneto sopra le righe

“La cativissima-epopea di Toni Sartana” entusiasma il Goldoni di Venezia. Nella commedia dalle risate amare, l’attore polesano riflette sulle contraddizioni del Nordest

(Corriere del Veneto * 02/11/2015)

La cativissima -epopea di Toni Sartana” ha entusiasmato il teatro Goldoni di Venezia da mercoledì a domenica. Sei attori di grande talento (Francesca Botti, Marta Dalla Via, Andrea Pennacchi, Silvia Piovan e Stefano Scandaletti) capitanati da Natalino Balasso hanno presentato il nuovo testo dell’attore veneto. Balasso inventa un mondo sopra le righe che denuncia con ferocia le contraddizioni sociopolitiche ed economiche di una regione un tempo definita la locomotiva d’Italia, un mondo governato da “schei” da arraffare, quello del ricco nord-est che poi si fa universale. “Trasferiscimi i soldi delle tasse nel mio conto personale” “ma ci vogliono quattro firme” “ecco cosa blocca l’Italia: la burocrazia”: in uno scambio tra i personaggi che ruotano attorno a Sartana il senso della commedia intrisa di risate amare. Un clima di fantapolitica, di vizi, tradimenti e arroganza, falso, a tratti grottesco. “Posso impegnarmi a dire -scrive Balasso- che questa sarà una commedia molto divertente intrisa di una comicità che non ritengo spocchioso definire tipicamente mia mista a tratti di amaro e ineluttabile. Ho voluto curare anche la regia di questa commedia perché per una volta credo di avere identificato un percorso che somiglia molto a quello che cerco che sia il mio teatro: popolare innanzitutto, perché sono dell’idea che se vogliamo che a teatro ci vadano tutti dobbiamo anche riuscire a parlare a tutti, ma cercando di non essere mai scontato”. Obiettivo raggiunto.

DOSSIER/TEATRO COMICO

HYSTRIO 4/2015
DOSSIER/TEATRO COMICO
Abbiamo proposto a chi lavora e gioca con il comico a teatro di scegliere una parola-chiave sul tema e di scrivere una breve riflessione. Ne è nato un piccolo glossario sui meccanismi della risata.
a cura di Claudia Cannella, Maddalena Giovannelli, Martina Treu

HYSTRIO trimestrale di teatro e spettacolo

PARODIA
di Natalino Balasso
La parodia non nasce come meccanismo comico. Il comico se ne è impadronito. La parodia nasce come gioco musicale, quella cosa che tutti alle medie abbiamo più o meno sperimentato: cambiare il testo a una canzone, mantenendone la metrica e l’aria musicale. Raramente la parodia ha regole strette, ma è sempre un materiale originale rimaneggiato. Nel suo senso intimo non è che il meccanismo che Freud chiama “spostamento di campo”: prendo una frase, una canzone, un personaggio, una vicenda e lo inserisco in una nuova cornice. Se poi l’originale è drammatico, la riuscita comica della parodia ha grande efficacia. La parodia in sé non è una tecnica alta e nemmeno bassa, anche se oggi viene considerata una forma comica di minor valore. In realtà le sfumature sono moltissime: è parodia il meccanismo con cui Woody Allen realizza finti documentari, con tecnica sopraffina, in certi film come Zelig o Prendi i soldi e scappa, ed è parodia quando il cinepanettone racconta i viaggi nel tempo o il B-movie americano fa il verso ai film famosi.
Ormai i significati originari sono stati stravolti, basti pensare che il dizionario Treccani, oltre al significato classico di parodia, dà anche quello di imitazione caricaturale di personaggi celebri. Del resto viviamo in un’era post naturalistica, in cui i prodotti dell’arte scenica devono essere credibili, realistici, probabili, tutto è diluito in modo che il meccanismo non traspaia e tutto sembri naturale. Quando un comico in tv imita un personaggio politico, e di solito è truccato in modo da assomigliare molto a quel personaggio, realizza un’imitazione. E magari il suo personaggio fa un discorso politico nella cucina di casa sua e parla ai familiari come fossero il pubblico che gremisce una piazza, quindi è anche una parodia. E magari in quel discorso l’autore lascia trasparire una propria tesi ideologica di rovesciamento del potere, quindi fa anche satira. Ma, se ci pensiamo, altri meccanismi come la satira appunto – che è diventata livore senza gioia e ha perso la sua connotazione di “festa” – hanno smarrito molti dei tratti che li caratterizzavano anticamente. Sono diventati altro, come sempre accade alle cose in cui intervengono il linguaggio e le parole.

Balasso assessore ai “schei” ride del Veneto rapace

Applausi per l’attore rodigino in scena anche in veste di regista e autore “La cativissima” è al Teatro Goldoni fino a domenica. Dopo arriverà a Padova

di Nicolò Menniti Ippolito (La Nuova Venezia * 30/10/2015)
VENEZIA

Ha ragione Natalino Balasso quando al termine della prima al Goldoni di Venezia chiama vicino a se Massimo Ongaro, il direttore dello Stabile del Veneto, dicendo: “Abbi il coraggio delle tue scelte”. Lo dice ridendo, perché la prima è andata bene, perché il pubblico ha riso e applaude, ma certamente questa “La cativissima. Epopea di Toni Sartana” è una scommessa difficile. Lo spettacolo, in scena al Goldoni fino a domenica e la settimana prossima al Verdi di Padova, inaugura non solo la nuova stagione, ma anche la nuova gestione dello Stabile, diventato Teatro Nazionale. E invece di andare sul sicuro, Massimo Ongaro ha scelto una novità assoluta, che poteva anche scandalizzare (e forse in parte lo ha fatto) il pubblico tradizionale del Goldoni. Perchè, certo, Natalino Balasso è personaggio conosciuto, amato dal pubblico, ma in questo caso indossa non la veste del comico, ma quella dell’autore, del regista, dell’interprete di una commedia complessa, che dura più di due ore, provocatoria, molto contemporanea nonostante la lente deformante del grottesco, o per meglio dire della comicità nera e apocalittica che contraddistingue Balasso.
“La cativissima” parte da un testo molto amato, ma anche molto contestato nel teatro novecentesco, come l’ “Ubu roi” di Alfred Jarry. Non è una riscrittura, non è un’attualizzazione, se si vuole la distanza è anche notevole, ma il legame c’è, è forte, e conta. Toni Sartana, il personaggio centrale di “La cativissima” e dell’intera trilogia di cui il testo fa parte, è come Ubu un violento e un fanciullone, crudele aldilà di ogni limite ma anche assolutamente inconsapevole. E’ estremo in tutto, nelle imprecazioni come nei progetti. Balasso ha trasferito il personaggio da una Polonia di fantasia a una regione Serenissima, che certo è il Veneto, ma potrebbe anche non esserlo: perché l’ascesa di Sartana per diventare assessore ai “schei”, poi assessore unico, poi invasore della vicina regione Furla è, aldilà dei paradossali eccessi, quella di qualsiasi uomo di potere, anche se non per tutti il sogno fondamentale è avere casa a Jesolo e Asiago. Nella vicenda entrano poi ultrà di “Dominanza rodigina”, il sogno di presentare “Miss Consorzio”, i rifiuti e le rapine in villa, la manipolazione mediatica con giornalisti cloni e cloni giornalisti, un intero mondo dominato dalla rapacità cui tutto è asservito.
Balasso racconta tutto questo con la sua comicità e con la sua lingua: quel suo veneto di terra di grande efficacia, cui si affiancano in questo caso altri accenti, quelli di una serie di attori veneti (Stefano Scandaletti, Andrea Pennacchi, Marta Dalla Via, Silvia Piovan, Francesca Botti) che ben si integrano in una dimensione teatrale che sembra evocare in qualche modo anche a quella dei cartoon, perché i tratti dei personaggi sono tutti marcati, deformati, uni-dimensionali. Toni Sartana e i suoi compagni di avventura sono un po’ come i Simpson o i Griffin: tanto più veri quanto più lontani dalla verosomiglianza. Non a caso si muovono in una scena minimalista ma plasmabile, una sorta di sfondo che si presta a tutte le soluzioni. Si ride, ovviamente. La sensazione è anche che si riderà di più quando i meccanismi saranno più oliati e la sintonia col pubblico più immediata. E poi però c’è anche quel senso di un mondo irrimediabilmente devastato dalla sete di potere, denaro, piacere, grazie alla quale i Sartana della situazione, col loro nome da pistolero, sopravvivono sempre.

Cativissima

La Cativìssima
(Epopea di Toni Sartana)
commedia di Natalino Balasso

La cativìssima (Epopea di Toni Sartana) è la prima commedia di un progetto di trilogia che ho preparato per il Teatro Stabile del Veneto.

L’idea è quella di creare l’epopea di un personaggio surreale e fuori dagli schemi, Toni Sartana, appunto, il quale non ha mezzi termini, non ha remore morali, è totalmente ignaro di ciò che significa correttezza.
Toni Sartana tradisce chiunque pur di raggiungere il suo scopo e il suo scopo si direbbe sconosciuto a lui stesso. Vuole possedere per il semplice gusto del possesso. Per lui le persone, dalla più prossima alla più sconosciuta, sono solo strumenti.
Il personaggio di Toni Sartana sarà interpretato da me.
Le commedie sono scritte in italiano, ma alcuni personaggi usano un linguaggio che, seppur italiano, è intriso di venetismi e pronunce locali e giungono a creare una di quelle che Pasolini chiamava “le tante lingue dell’italiano”.

In questa prima commedia assistiamo alla resistibile ascesa di Toni Sartana, da semplice sindaco di un piccolo paese di campagna, fino ai vertici del suo partito, in seno al quale tradirà anche gli amici più fidati pur di diventare la massima carica della Regione Serenissima: Asessore ai Schei.
Ma questo non gli basterà, vorrà giungere a conquistare anche la confinante Regione Giulia all’inseguimento del Potere fine a se stesso. In questo clima da fanta-politica, in un tempo non definito, che potrebbe essere il futuro, Toni Sartana riluce come una sorta di Ubu veneto; fa ruotare gli eventi attorno a sè, istigato da una moglie, la signora Lea, che, come una moderna lady Macbeth, è forse più crudele di lui.
Tutto questo, com’è prevedibile, porterà ad una rovinosa caduta ma, come Ubu, Sartana ha la consistenza dei pupazzi di gomma, non si fa mai male, casca sempre in piedi. Egli è salvato dalla sua stessa inconsapevolezza.

Posso impegnarmi a dire che questa sarà una commedia molto divertente, intrisa di una comicità che non ritengo spocchioso definire tipicamente mia, mista a tratti di amaro e ineluttabile. Ho voluto curare anche la regia di questa commedia perché, per una volta, credo di avere identificato un percorso che somiglia molto a quello che cerco che sia il mio teatro: popolare innanzitutto, perché sono dell’idea che se vogliamo che a teatro ci vadano tutti dobbiamo anche riuscire a parlare a tutti, ma cercando di non essere mai scontato.

Natalino Balasso

Foto di Cativissima 2015
Foto di cativissima 2016

L’Italia secondo Natalino

INTERVISTA
Da Altreconomia

di Pietro Raitano — 23 agosto 2014
Il consumismo e l’utilità sociale, il lavoro e il tempo libero da utilizzare per dedicarsi a comprendere una società complessa. Intervista a Balasso, che ad Altreconomia dice: “La cultura dovrebbe permeare un’intera società, la conoscenza e la curiosità dovrebbero essere le cose che spingono l’essere umano ad andare avanti, perché a questo siamo programmati”

Provate voi a restare seri guardando Natalino Balasso, anche se le cose che dice sono serissime. Il problema è come le dice: un’irresistibile miscela di accento veneto, paradossi e verità. Cercatelo in teatro o almeno godetevi “Telebalasso”, il canale youtube dove pubblica interventi e parodie: sotto la coltre della commedia, come da copione, la feroce critica alla società dei consumi e alla politica. Tra testimonial di slot machine e l’epopea dei magnaschei, fino al telefono fatphone (“che cosa te ne frega a che serve: quando lo avranno tutti sarà irrinunciabile”).

Balasso, come funziona la “società dei consumi”?
Le associazioni dei consumatori sono il primo gradino della schiavizzazione. Usare la parola “consumo” che è un termine inesorabile ci catapulta all’interno di un noir, in cui le cose si “consumano” senza possibilità di ritorno. Noi non siamo “consumatori” ma utilizzatori, esseri umani che tentano di usare il mondo, chi parla di consumo lo usa malissimo.

Noi vediamo un ruolo strategico dell’informazione: esiste ancora l’indipendenza? Esiste ancora la qualità?
La qualità dell’informazione in Italia è sotto gli occhi di tutti. Con la complicità dei giornali (ma non dobbiamo dimenticare che i giornali appartengono a qualcuno), i giornalisti sono diventati sempre meno determinanti. Le paghe basse, la confusione creata da una free press che di free non ha proprio niente, le piccole roccaforti dei divetti con firma, hanno fatto il resto. L’informazione in Italia non c’è, c’è la tv, l’intrattenimento a cui pigramente si abbandonano gli italiani che non vogliono essere informati ma solo passare il tempo.

Oltre alla tv c’è ormai soprattutto internet: come condiziona le nostre vite, come le isola e ci “immunizza”?
Nessuno mi dà retta, ma continuo a dire che internet non è né più né meno che l’automobile della comunicazione.
Non è che prima dell’automobile nessuno viaggiasse, l’automobile ha semplicemente moltiplicato all’ennesima potenza ciò che avveniva prima. Le distanze si sono accorciate, la gente si è mossa, ma si è mossa portandosi dietro tutte le magagne che aveva quando non si muoveva. In internet tra un po’ ci saremo tutti, portandoci dietro il nostro elefantiaco sistema di pensiero e la nostra scarsa propensione a comunicare attraverso contenuti. La nostra comunicazione è ormai ridotta alla funzione fàtica, è cioè una comunicazione che serve solo a stabilire che c’è una comunicazione.

In politica possiamo ancora parlare di “beni pubblici” e del “bene pubblico”?
C’è uno svilimento del concetto di “pubblico” nel nostro modo di intendere il pubblico. Ormai tutti pensano che pubblico sia ciò che attiene alla burocrazia statale. Le cose non stanno così: una valle, anche se appartiene a qualcuno, è pubblica; un’opera d’arte, anche se appartiene a un privato, è pubblica; l’acqua è pubblica, non c’è privatizzazione che le toglierà questo aspetto, perché l’acqua è acqua e noi ne siamo semplici utilizzatori. Ciò che deve essere chiaro è che quando gestiamo un edificio, un teatro, un acquedotto, una linea ferroviaria o elettrica, gestiamo qualcosa che è di tutti e ne dobbiamo avere la cura che se ne ha con le cose care. Se lo vediamo come un’occasione di profitto e non come un’opportunità per la comunità, vuol dire che siamo cresciuti con un’idea malata di comunità. Il nostro problema è quindi culturale, perché non importa che una cosa pubblica sia gestita da un privato, importa che questo privato appartenga a una società che ha un rispetto religioso di ciò che è di tutti. Questo oggi non avviene, di qui deriva il nostro equivoco tra pubblico e privato, tra bene comune e bene privato.

Lavoro: la mancanza di occupazione è un dramma, ma è possibile immaginare modelli nuovi e alternativi?
Il lavoro è solo un modo per organizzare la produzione di beni e servizi, la paga è ciò che permette a chi ha lavorato di usufruire di parte dei beni e servizi a cui egli stesso ha contribuito. Potevamo organizzare la società in altri modi, ma sempre ci sarebbe stata necessità di uno scambio: io faccio una cosa per ottenerne un’altra, se questa cosa significa aggredire un orso o inviare delle mail, cambia il tasso di adrenalina ma non la sostanza della cosa in sé. Voglio dire che oggi siamo organizzati ancora secondo le regole che hanno organizzato le società del neolitico. Oggi però siamo in grado di immaginare molte più cose, di produrre molte più cose. Potremmo essere liberi e lavorare due ore a settimana, invece ci facciamo il culo e inneggiamo a bandiere, partiti, confini, razze, dèi e stupidaggini neolitiche. Questi rapporti di schiavitù li abbiamo scelti noi, e sembra che vogliamo tenerceli ancora a lungo. Il lavoro è qualcosa di cui liberarsi per fare altro, per conoscere, divertirsi, aiutare qualcuno; non è un concetto su cui fondare una nazione.

Lei lavora nella cultura: qual è lo stato di salute della cultura in Italia? È ancora un’eccellenza?, lo è mai stata?, che fare per sostenerla?
L’idea di sostenere la cultura è un’idea, di per sé, da sottocultura. La cultura dovrebbe permeare un’intera società, la conoscenza e la curiosità dovrebbero essere le cose che spingono l’essere umano ad andare avanti, perché a questo siamo programmati. Oggi, grazie all’organizzazione che abbiamo raggiunto, possiamo permetterci di lasciare ad altri la curiosità e la conoscenza, e di lavorare per pagare queste persone, le quali ci dicono cos’è la vita, quali sono i rimedi per le malattie, come dobbiamo pensarla, come è meglio che ci comportiamo; costoro ci impongono modelli di divertimento e di conoscenza, ci fanno immaginare l’erotismo che piace a loro, ci fanno pensare che il divertimento è ciò che diverte loro, che le opere d’interesse siano ciò che interessa a loro. Questo ovviamente ha generato rapporti di schiavitù. Se ci facciamo caso, la maggior parte della curiosità e della conoscenza è indirizzata alla guerra e al profitto di poche persone, le quali sono riuscite a convincere tutti gli altri che c’è necessità di guerre, che c’è necessità di crescita produttiva e che c’è necessità del loro personale profitto per il bene di tutti. Siamo un super computer da un milione di dollari che funziona con un sistema operativo Windows 3.1. Se non capiamo che la crescita avverrà solo se tutta l’umanità cresce, resteremo in questa condizione di primitivi che pigiano tasti senza sapere che fanno. La cultura è il velo che avvolge questo corpo in putrefazione e ne prende piano piano il marcio e gli odori. Noi ci stiamo trasformando in insetti necrofagi e ci nutriamo di morte, andiamo a vedere i dipinti dei pittori morti pensando che, siccome sono morti, sono più importanti, leggiamo quegli autori che il club degli intelligenti ha deciso siano gli autori da leggere. Quando produciamo immaginazione, produciamo standard. Basta vedere i premi letterari, i premi cinematografici, i premi musicali: è premiato chi produce un’opera che somiglia ad opere del passato che sono state importanti. Creiamo linguaggi nuovi che sono già vecchi il giorno dopo, perché di nuovo hanno solo il velo che ricopre il cadavere. Noi possiamo dare il significato che vogliamo alla parola “cultura” ma sarà sempre il prodotto di qualcosa che ci somiglia, oggi noi siamo questa roba qua. Bisogna farci i conti, ma bisogna anche prendersi la responsabilità di educare gli altri, a costo di deluderli. —

La TV è Telebalasso
Attore, comico e autore di teatro, cinema, libri e televisione, Natalino Balasso è nato nel 1960 a Porto Tolle, in provincia di Rovigo, località nota per le centrali dell’Enel, luogo simbolo dello scontro tra benessere e tutela del territorio da un parte, interessi economici dall’altra.
Debutta nel 1990 a teatro, all’età di 30 anni, e solo otto anni dopo in tv (diviene famoso grazie a “Zelig” e “Mai dire Goal”). L’ultima turné con “Aspettando Godot” di Samuel Beckett. Al cinema arriva nel 2007 (l’ultima pellicola, del 2010, è “La Passione”, per la regia di Carlo Mazzacurati), mentre i primi libri ormai hanno 20 anni (oggi ne ha all’attivo
una decina).
Il sito ufficiale è www.natalinobalasso.net ma imperdibile è anche Telebalasso, il suo canale youtube: www.youtube.com/user/natalinobalasso