Speciale interviste a cura di Matteo Gracis ed Enrica Cappello
Magazine ‘Dolce Vita’ * http://www.dolcevitaonline.it/
Nella speranza di una società più serena e meno frenetica Natalino Balasso consiglia di “fumare 2 pipate
di canapa in santa pace”. L’ironia cinica e tagliente del comico di origini venete apre gli occhi
sulle barriere mentali che circondano e infl uenzano quotidianamente ognuno di noi.
Il meschino gioco della manipolazione e della creazione dei bisogni fi ttizi, tipico della nostra società dei consumi,
viene scoperchiato da Balasso che ci mette di fronte alla realtà dei fatti. Una realtà in cui l’individuo
è mera merce e di conseguenza è più facile proibire, nonostante non abbia mai portato nulla di buono,
che educare perché la conoscenza si sa è l’arma migliore (di cui tutti dovremmo munirci!).
Il pop incontra la filosofia e ne esce Velodimaya by Natalino Balasso. Un’occasione per ridere e pensare alle nostre sciocche certezze. di Omar Manini (www.whipart.it * 15/12/2014)
Teatro Nuovo, Udine – Natalino Balasso porta il suo nuovo spettacolo Velodimaya a Udine per le stagioni crossover di CSS _Teatro Contatto e Teatro Nuovo Giovanni da Udine e riempie la sala di buon umore, scavando con ironia e sottigliezza tra le pieghe della nostra realtà.
Prendendo in prestito dall’amico Arturo (Schopenhauer) il concetto chiave di una realtà illusoria e impossibile da oggettivare in quanto trasfigurata, nascosta da un velo, ci aggiunge il suo personale estro comico che ha nel puffo proiezionista l’esempio più folle e insieme lucido.
Un esserino inserito nella testa di ognuno che ci fa vedere ciò che noi desideriamo, moltiplicando così le possibili chiavi di lettura e rendendo impossibile stabilire un unico punto d’incontro.
Ecco che Balasso, con estrema, consumata naturalezza, costruisce un monologo che evidenzia con mille esempi e paragoni quanto la vita che viviamo sia immersa in una specie di nuvoletta che sorvola la realtà delle cose per rileggerla dal nostro interessato punto d’osservazione.
Il risultato di tutto ciò è un’inconsapevole menzogna che diamo in pasto a noi stessi e agli altri, spesso combattendo e sopraffacendo in nome di ideali alterati.
Alla fine ridiamo di noi e dei nostri limiti, ci riconosciamo in comportamenti che tutto hanno a che fare tranne che con la fede nella scienza esatta così esaltata, divinizzata.
Velodimaya è una specie di mappa del pensiero contemporaneo nella quale il ridere è una conseguenza necessaria del racconto, non una finalità. Navighiamo attraverso il racconto dei desideri e delle paure dei nostri attuali compagni d’avventura in questo lembo di terra. […] Siamo dentro un film, ciascuno di noi recita un personaggio, chi meglio, chi peggio, ma tutti facciamo finta. […] Visti da lontano, in questo nostro affannarci, anche nel nostro inciampare, facciamo ridere. (N. B.)
In una scenografia minimale – un pulpito, una bellissima micro-città di cartone sullo sfondo – il Nostro si chiede con un bellissimo paradosso se il suo sia teatro, privo com’è di una storia, di un attore accademico, di un’impronta produttiva classica o sperimentale, e poi ci dimostra come solo sapendo raccontare i vizi e le contraddizioni dell’umanità si possa fare Teatro di qualità.
Divertente e amaro insieme, lo show è un nutrimento per la mente sicuramente non esente da pecche (onestamente la parte dedicata al linguaggio e alla lingua è una parentesi stanca), ma riscattate con pagine di alta qualità.
VELODIMAYA
testo scritto e interpretato da Natalino Balasso
scene/luci: Rita Scarpinato
luci a audio: Suonovivo BG
musiche: Nathaniel Basso
e… organizzazione Simonetta Vacondio Produzione durata Voto
Teatria srl 140 min. senza intervallo
di Simone Tonelli (Giornale di Brescia * 22/02/2015)
Ci sono cose che uno non immagina neanche che potrebbero far ridere…Invece…Un’antologia (un’enciclopedia?) italiano-veneta della risata. Vivente. E’ Natalino Balasso, l’altra sera, venerdì, al Teatro Ctm di Rezzato, per tre ore (tra uno scoppio di ilarità e l’altro, lui trascina il pubblico e il pubblico trascina lui), in scena su invito del Cipiesse con “Stand Up Balasso”, un “il meglio di” comico per una platea da tutto esaurito.
Si comincia con l’attore di Porto Tolle che, inforcati gli occhiali, legge improbabili definizioni della categoria “amici veneti” (“Non ascoltano i pettegolezzi sul tuo conto. Ne mettono in giro di nuovi”). E il clima, per complicità, è un po’ quello. Lo stile è da affabulazione comica: “Il 90% di quello che sappiamo ce l’hanno raccontato, non l’abbiamo vissuto. Tanto che, se una cosa non la racconti, pare che non esista”.
E così Balasso dà il via alla narrazione, anzi, alla digressione, perchè ogni storia ne nasconde sempre un’altra, e ogni battuta diventa un’Odissea (anche di Ulisse e Polifemo e, prima, di Paride e Priamo si parla) di facezie.
La storia è passione sincera (Una storia orizzontale, di gente che migliaia di anni fa aveva i nostri stessi sentimenti, e ci parla ancora oggi), ma anche virtuosistico gioco di parole (dalla Mesopotamia spunta un racconto sui “somari dei sumeri semiti e non semiti”).
L’antico, e amato, dialetto pavano diventa spasso per una lingua che perde tutte le consonanti (“i gà igà i gai”, per “hanno legato i galli”). Ci sta anche uno “Stabat Mater” pietoso per chi soffre, una leggenda comica con morale su una divina punizione (una portentosa diarrea) per un ricco avido.
Con Balasso, comicità diventa far parte di un’unica grande storia comica, dove alto e basso, dialetto e lingua, miti e poesia, umili e potenti si confondono, si ribaltano e la risata si fa umana, condivisa, popolare nel senso più bello.
di Anja Rossi (Il Resto del Carlino * 29/03/2015)
FERRARA
ERA PASSATO qualche anno dall’ultimo monologo teatrale da lui scritto e poi interpretato per i teatri della Penisola. Ieri Natalino Balasso è ritornato a far ridere il teatro De Micheli con “Velodimaya”, uno spettacolo sul mondo di oggi. E’ una risata più matura, la sua, che non dimentica i lavori precedenti, ma li trasporta nella contemporaneità, nell’oggi, e parla di noi, degli uomini che vanno a teatro col tablet e si scrivono su WhatsApp. Lasciati alle spalle i miti greci di “Ercole in Polesine” e la storia anni ’30 di “La tosa e lo storione”, Balasso ci immerge nei nostri drammi quotidiani, con un “nuovo monologo che -come spiega l’attore- voleva essere anche un monologo nuovo”, un nuovo modo di raccontare il contemporaneo. Velodimaya parte infatti da un presupposto essenziale, ovvero che “la realtà è tratta da una storia vera, ma è pur sempre un racconto”. Il filosofo Arthur Schopenhauer sosteneva che ci fosse un velo di Maya che nasconde all’uomo la realtà autentica delle cose. A questo ragionamento si ricollega il comico veneto, aggiungendo un particolare alla teoria del filosofo tedesco: “ognuno di noi ha in testa un puffo che ci proietta in testa quello che vogliamo vedere e che vogliamo sentirci dire. Così apponiamo altri veli sopra alle cose, che diventano il telo sul quale proiettiamo il nostro personale film”. Allora per Balasso c’è gente che crede nel lavoro, c’è chi crede nella scienza, chi nella politica o nei media, chi perfino degli ufo. Velodimaya diventa dunque in poco tempo un lungo discorso su ciò che crediamo di sapere, mentre l’unica verità è che “le parole sono solo un vestito esteriore della nostra società, a cui ciascuno dà la propria interpretazione, convinto che sia quella giusta, e in cui i significati cambiano continuamente”. Non c’è soluzione se non quella di rendersene conto, primo atto di responsabilità. E dunque una risata che cerca di portare al pensiero, un Balasso che, senza togliere il suo noto accento veneto, sembra sempre più cosciente della forza politica e rivelatrice del teatro. Un teatro che ride della dizione, della scenografia, dei costumi, un teatro che vuole ritornare quello che era: un insieme di persone che si riuniscono in una grotta, davanti a un fuoco, mentre uno di loro inizia a raccontare. Un ritornare lupi, e non per sbranarsi l’un l’altro.
di Chiara Mignani (Gazzetta di Parma – 08/12/2014)
Trascinante ed esilarante, Natalino Balasso ha squadernato con incredibile energia il suo repertorio “storico” nello spettacolo “Stand Up Balasso”, sabato sera all’Arena del Sole di Roccabianca. Insieme raffinato e popolaresco, capace di catturare l’immaginazione, ricco di riferimenti letterari preziosi (Omero, Ruzante, Luigi Meneghello) e senza paura di mescolare alto e basso, di scompaginare e giocare con i registri del racconto, in sintesi: Balasso è un grande narratore. Formidabile è la lingua usata dal comico, la sua cadenza e il suo lessico sghembo, un grammelot che nasce nel nord est, una lingua un po’ da infanzia, decisamente spassosa ma anche tenera, perfetta per raccontare storie.
Possono essere grandi storie come i racconti omerici, che il comico rivisita con una contaminazione felice, senza mai scadere nel didascalico o nella banalità; nella sua versione l’Odissea “scomincia”, Polifemo è “imbraco come una scimia” e Ulisse quando finalmente torna ad Itaca fatica a riconoscerla “perché hanno costruito tante nuove rotonde”.
Possono essere piccole storie come il racconto del ménage famigliare (ed alcolico) del Torbolo e di sua moglie Marisa, vite marginali che danno forma ad un’epopea ruspante del nord est.
Ma tutte, grandi e piccole, arrivano con forza al pubblico, sono animate dalla passione e dall’intelligenza del narratore, che la rafforza con una straordinaria mimica e una sapiente gestualità. Impagabile è la lezione sul “pavano” (dialetto padovano) dell’interno: “una lingua così difficile che anche i padovani quando si parlano tra loro non si capiscono”.
Irresistibile l’incursione nell’archeologia onirica con il pezzo “il somaro dei sumeri”: uno scioglilingua vertiginoso e virtuosistico. Il teatro era tutto esaurito, tanti gli applausi a scena aperta, il pubblico è stato completamente conquistato dalla travolgente performance di Balasso, lunghissimi gli applausi finali.
“In fondo siamo tutti dentro un film”
di Fabiana Dallavalle (Messaggero Veneto * 14/12/2014)
UDINE
Il titolo è decisamente impegnativo anche se scritto tutto attaccato. Velodimaya, ultimo nato a casa di Natalino Balasso e primo appuntamento comico condiviso a Udine, tra le stagioni di Teatro Contatto di Css Teatro Stabile di Innovazione Fvg e del Teatro Nuovo, porta in scena una ventata di risate extra-large, (due ore e mezza di spettacolo!) e fa aprire addirittura la terza galleria.
Il concetto di Velo di Maya preso a prestito, niente meno, che dal filosofo Schopeanhauer e trasferito sul palcoscenico, parla in realtà di temi piuttosto seri, di verità nascoste, vere o presunte, di guerre necessarie, di infanzia, educazione e coscienza individuale. Certo il linguaggio è popolare e ironico, spesso mediato dalla tirata in dialetto, così giusto per tranquillizzare gli animi degli spettatori perché il dramma, diceva Eduardo, “si rappresenta meglio con la commedia”.
Infatti, mentre sei lì che te la ridi, Balasso riesce a far leggere al cervello in modalità “rappresentazione teatrale” tutta la serie di drammatiche fregature alle quali gli uomini e le donne vanno incontro subito dopo il primo vagito. Si ripassano, sempre tra una risata e l’altra, alcune gioviali nefandezze del vivere, come ad esempio che le nazioni moderne non sono nazioni, ma affari, risultati di compravendite. “Stiamo giocando a un gioco in cui le carte sono truccate e le regole sono tutte da scoprire”, dice l’instancabile Balasso. Il gioco è infatti antico e illude le pedine di fare un passo avanti, mentre in realtà le spinge a prendere la rincorsa per tornare esattamente al punto di partenza. E ancora “siamo dentro un film, ciascuno di noi recita un personaggio, chi meglio, chi peggio, ma tutti facciamo finta”. A questo punto il nostro personaggio è costretto a indagare, come fosse il detective di un film giallo, ci sono solo prove indiziarie, il quadro non è chiaro”. Certo il velo non si può strappare, pena la perdita di senno o la cacciata dal Paradiso, ma prendere atto che il velo c’è e che ognuno vede e interpreta la realtà a modo suo, è già gran cosa. In ogni caso Velodimaya stimola la capacità innata del cervello di ridere di cose drammatiche, non per mancanza di rispetto, ma per il desiderio di esorcizzare i nostri drammi. Lo sa Balasso che fa assai bene il suo mestiere. Lo capisce il pubblico, che non ride e basta ma pensa. E applaude con calore in finale.
di Piergiorgio Piccoli e Aristide Genovese
dalla sceneggiatura di Pietro Germi e Luciano Vincenzoni
Regia Piergiorgio Piccoli
con NATALINO BALASSO
Aristide Genovese e Anna Zago, Paolo Rozzi, Andrea Pennacchi, Silvia Piovan, Valerio Mazzucato, Angelo Zampieri, Anna Farinello, Sara Tamburello, Max Fazenda, Marta Meneghetti e Piergiorgio Piccoli
In un’imprecisata cittadina veneta (il film è girato a Treviso) si svolgono le vicende di una gaudente compagnia di commercianti e professionisti della media e alta borghesia, che dietro un’impeccabile facciata di perbenismo nasconde una fitta trama di tradimenti reciproci. La vicenda si sviluppa quindi attraverso tre storie di corna in un ambiente cattolicissimo, dove ognuno pensa ai fatti degli altri ma lava i panni sporchi fra le pareti domestiche, dove il sesso è ancora tabù ma dove i tradimenti sono la regola, anche se il divorzio non esiste ancora. “Signore e Signori” è una satira feroce sull’ipocrisia della provincia italiana nella stagione del boom economico che racconta, dalla prospettiva di una piccola città, una realtà che riguarda l’intero paese, costruita come un romanzo corale articolato in un trittico di storie che coinvolgono sempre lo stesso gruppo di bizzarri personaggi. Lo spettacolo teatrale è oggi un divertentissimo paradigma, specchio, preludio di una storia che solo in parte è “storia di ieri” perché mostra quei tratti contrastanti di vizio e ingenuità, di godereccio perbenismo, di naturale semplicità che abbiamo imparato ad amare come tratti caratteristici dell’italiano medio.
LO SPETTACOLO
Siamo felici di aver fatto la scelta di mettere in scena questa storia straordinaria. “Signore e Signori” di Pietro Germi, Palma d’oro a Cannes nel 1966 e David Donatello per la miglior regia è un capolavoro della commedia all’italiana, una storia che ha messo davvero a nudo il popolo veneto ma non solo, anche gran parte dei comportamenti degli italiani in generale. Lo spettacolo è ambientato nella stessa epoca della pellicola e il testo è il più possibile corrispondente alla sceneggiatura cinematografica, pur con garbate attualizzazioni, considerato che l’intreccio è ancora oggi di un’originalità e di una comicità che finora non hanno trovato pari nelle produzioni cinematografiche ambientate in questo territorio. Gran parte del compito di offrire al pubblico un momento di divertentissima ed originale teatralità è affidato agli attori, tutti veneti, capitanati da Natalino Balasso, che sapranno incarnare gli atteggiamenti, le abitudini e le piccole manie degli indimenticabili personaggi del film.
“È una cosa seria?” è un progetto di Giulio Graglia e Natalino Balasso, per la regia di Giulio Graglia, che raccoglie due atti unici di Luigi Pirandello, interpretati da Natalino Balasso, Angelo Tronca e Barbara Mazzi. I due atti unici sono “L’imbecille” e “Cecè”.
Intervista dalla rivista Famiglia Cristiana
Natalino Balasso ( a destra) interpreta “E’ una cosa seria?”.
È una cosa seria? è il titolo dello spettacolo che inaugura il quinto Festival nazionale Luigi Pirandello. Si tratta, come recita il sottotitolo, di un omaggio al drammaturgo siciliano, premio Nobel per la Letteratura, ideato da Natalino Balasso e Giulio Graglia, anche regista, e interpretato da Balasso stesso
– Natalino Balasso, come nasce questo progetto?
«Da un’idea di Giulio Graglia, che poi mi ha coinvolto. Abbiamo riunito due atti unici di Pirandello che con un’ironia mai fine a sé stessa prendevano di mira alcuni vizi della sua epoca, che ci sono sembrati ancora attuali. L’imbecille è ambientato nella redazione di un giornale, in un mondo politico in cui sembrava lecito risolvere le questioni politiche anche a bastonate, fino all’eliminazione fisica dell’avversario. Un testo ironico ma anche noir, come un film francese degli anni Trenta».
– E l’altro atto unico del dittico?
«Il bel Cecè è ancora più attuale. Si parla di un intrallazzatore, di un faccendiere che procura favori agli imprenditori, contattando e corrompendo politici, e che a un certo punto chiede dei soldi a un imprenditore per via di una donna… direi che sembra scritto oggi».
– I suoi prossimi progetti?
«A novembre porterò in scena un mio monologo, L’idiota di Galilea: le vicende di Gesù e dei suoi apostoli viste con gli occhi di un loro contemporaneo d’animo semplice, un idiota appunto, a suo modo un puro. Da gennaio 2012 invece riprenderò I rusteghi di Goldoni, con la regia di Gabriele Vacis»
È una cosa seria?, dal 5 al 7 luglio, Teatro Gobetti, Torino; 8 luglio, O.G.R. Officine Grandi Riparazioni, Torino; 15 luglio, Villa Prever, Coazze
Marmirolo: sold out per Balasso filosofo di Maria Luisa Abate (La Cittadella * 24/10/2014)
Uno splendido sold out ha premiato la serata inaugurale al Teatro Comunale di Marmirolo. L’occasione era ghiotta: l’anteprima nazionale dell’ultimo spettacolo confezionato e interpretato da Natalino Balasso, che non ha presentato i difetti tipici delle anteprima, solitamente necessitanti di limature successive. La messa in scena era infatti perfettamente funzionante, parsa addirittura rodata: sintomo di grande professionalità. Balasso è bravo come attore e intelligente come autore; fin dalle prime battute ha confermato di possedere una vis comica tanto esilarante quanto ricca di sostanza. Il testo ha invitato a pensare ma le risate che ha scatenato, incessanti e irrefrenabili, non hanno presentato retrogusti di pedanteria. Una galoppata di due ore, forse troppe per la formula del monologo, comunque mai tediose, senza che il ritmo abbia registrato alcun calo di tensione. Un ironico trattato di filosofia, nemmeno troppo spicciola, esordito con Schopenhauer da cui è stato preso a prestito il titolo: Velodimaya. Il velo di Maya del pensatore tedesco è uno schermo che impedisce la vera visione della realtà, che inibisce l’essenza del mondo (noumeno) soppiantandola con la trasfigurazione della mente (fenomeno). Uno schermo sul quale la nostra vita viene proiettata, afferma il Balasso-pensiero, finché non ci accorgiamo che il film è un “dannato giallo” e i detective siamo noi, che dobbiamo capire cosa ci sta succedendo. “Dio creò maschio e femmina, proprio come voleva Giovanardi. Da Lui, che ci ama, viene questa vita da incubo: figuriamoci se gli fossimo stati antipatici!!!” E via con i riferimenti biblici intrecciati a ricordi di infanzia in un racconto sinuoso, spiritoso, incalzante. Balasso si è inerpicato sulle parole, alle quali è stato attribuito un significato filtrato da velodimaya linguistici: in realtà una citazione alla metasemantica di Fosco Maraini e alla sua Gnòsi delle fànfole (che ispirò anche la versione musicale del jazzista Stefano Bollani). Il finale non poteva che essere poetico: “la vita è sogno” diceva Calderòn de la Barca, mentre Shakespeare affermava che “siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i sogni“. Ben venga quindi il velodimaya di Balasso, grazie al quale abbiamo potuto estraniarci dalle brutture della vita e abbandonarci alla fantasia.