di Stefano de Stefano (Corriere del Mezzogiorno- 20/10/2024)
La sonorizzazione galleggiante, quasi amniotica, che avvolge la sala, lascia intendere che il pubblico non incontrerà l’Eduardo che ti aspetti, che fonde realismo e pirandellismo. E ciò nonostante qualche frammento vocale dello stesso maestro confuso con il suono di fondo. Perchè con “La grande magia” (al Bellini fino al 2 novembre) Gabriele Russo tratta il nume tutelare del nostro teatro come uno dei grandi classici di ogni tempo, piegandolo ai modelli espressivi della contemporaneità. Complice la scelta di un testo troppo avanti rispetto al 1948 in cui fu scritto, per ammissione dello stesso autore: “testo più caro, ma anche contestato e portatore di dolore”. Russo parte proprio da quel dolore per liberare tutte le energie di un lavoro spinto sul registro simbolico, a partire dalla famosa scatola di verità inconfessabili, e in cui il conflitto fra immaginazione e realtà su cui si struttura la commedia, finisce col premiare sempre la prima sulla seconda. Lo spazio scenico è una bolla con alcuni rimandi all’albergo prima e allo studio del mago poi, mentre l’idea di affidare i ruoli ad attori non solo napoletani, evita ogni rischio di naturalismo. I due personaggi chiave, Calogero Di Spelta il marito tradito, e Otto Marvuglia il mago, sono affidati a un veneto come Natalino Balasso e a un piemontese come Michele Di Mauro, con tanto di rispettivi accenti. Risultato una dimensione rappresentativa sospesa in un non luogo e a cui contribuiscono fra gli altri anche Veronica D’Elia, Gennaro Di Biase, Maria Laila Fernandez, Sabrina Scuccimarra e Anna Rita Vitolo.