Ascesa e caduta di Toni Sartana con le ambizioni di successo di un “magnaschei” Balasso fa sorridere e riflettere

di Sebastiano Giordani (La Provincia * 25 gennaio 2018)

CREMA – Descrivere il peggio dell’italiano medio (ma anche medio-basso) stereotipandone i difetti, le debolezze e le pessime abitudini al punto da farle diventare una barzelletta, o quantomeno una battuta ben riuscita. Perché riderci su rimane sempre il migliore antidoto contro la disperazione. E’ grottesco e cinico il ritorno sulla scena di Natalino Balasso, che martedì sera ha presentato al teatro San Domenico Toni Sartana e le streghe di Bagdàd, secondo atto di una trilogia dedicata a questo personaggio immaginario (ma non troppo) bramoso di fama, di successo e (in questo secondo episodio in particolare) i soldi.
Balasso sceglie di giocare ‘in casa’: si parla il dialetto veneto e si vive l’atmosfera socio-culturale del nord-est con tutti i cliché che ne conseguono, a partire dalla venerazione del dio denaro. E così, se il primo atto della trilogia aveva raccontato un’improbabile scalata politica, questa volta Balasso ci racconta le ambizioni imprenditoriali del nostro Toni, che di punto in bianco e per pura fortuna si ritrova amministratore delegato di un’azienda specializzata in jeans con gli strappi. Ma siccome l’appetito vien mangiando, Sartana vorrà di più, sempre di più, in un crescendo di ambizioni malsane e ingiustificate che spingeranno il protagonista sul bordo del burrone.
A contribuire all’ascesa e alla caduta di questo ‘magnaschei’ senza capo né coda saranno un manipolo di personaggi che proveranno ad approfittare della situazione, calpestando relazioni personali, amicizie e legami matrimoniali per assecondare la loro brama di potere. Particolarmente significativo l’accento posto sul genere femminile: diaboliche, manipolatrici e consapevoli del maschilismo che domina la società contemporanea, le donne in scena approfittano dell’ingenuità e delle debolezze degli uomini per prendersi gioco di loro.
Insomma, trama alla mano, non si salva proprio nessuno. Ma è proprio in questa disfatta collettiva che si nasconde la chiave di lettura dello spettacolo, talmente critico da diventare provvidenziale, talmente malefico da suscitare tenerezza. Siamo davvero così malvagi, così superficiali, così piccoli, perfino così tonti? Forse no, o forse un pochino sì. Poi a casa, prima di andare a letto, sarà bene farci un pensierino. Ma adesso, qui in platea, ridiamoci su.