di Giuseppe Giorgio (Il Roma – 20/10/2024)
AL “BELLINI” Il regista Gabriele Russo porta in scena un De Filippo disincantato ne “La grande magia”
asata su quel difficile rap- porto tra “realtà, vita e il- lusione”, l’eduardiana commedia di chiara ispirazione pirandelliana “La grande magia”, anche durante la nuova appari- zione al teatro Bellini con la regia di Gabriele Russo conferma la sua volontà – così come scrisse pure Ermanno Contini su “Il Messaggero” nel 1950 – di pro- porre “il drammatico contrasto fra realtà oggettiva e fantasia sog- gettiva”. Il “Professor” Otto Mar- vuglia fa “sparire” durante uno spettacolo di illusionismo, la mo- glie di Calogero Di Spelta per consentirle, previo cospicua ri- compensa, di appartarsi per quin- dici minuti con l’amante. Visto però che l’incontro tra i due ha un ben altro risvolto amoroso prolungandosi per quattro anni, al “mago” non resta altra solu- zione di far credere al marito che potrà ritrovare la donna amata so- lo se aprirà con totale fiducia e nella fedeltà di lei, una cassettina di legno, nella quale, sostiene di averla nel frattempo trasferita e rinchiusa. Alla fine, la donna ritornerà dal marito, confessando l’inganno e l’avvenuto adulterio ma l’uomo, in preda alla follia, si rifiuterà di riconoscerla, preferendo così, pur di non ammettere il tradimento, di restare ancorato all’illusione di una moglie fedele custodita nella inseparabile scatola. Con queste premesse, il regista Russo si ri- trova faccia a faccia con un testo che, ritornando come in “Sik-Sik l’artefice magico”, al tema del- l’illusionismo, vede Eduardo pronto a riflettere sulla società e le sue ipocrisie. Un Eduardo cini- co e disincantato, dunque, quello riproposto nello spazio di via Con- te di Ruvo, il quale, nel ricono- scere nell’illusione l’unica fonte di vita, congela i tratti di una so- cietà in caduta libera, proprio co- me il protagonista Calogero Di Spelta, vittima sacrificale di una disperata dimensione di “autoin- ganno”. Abbracciando quel senso di Metateatro, come fecero Sha- kespeare nell’Amleto e in epoca più moderna Luigi Pirandello con il Mago Crotone de “I giganti del- la montagna”, la “Grande Magia” lascia volutamente spazio a un bi- sogno di meditazione e di amaro disincanto. Lo stesso bisogno che il regista Gabriele Russo difende con una messinscena intenta a su- perare persino quei confini piran- delliani tanto amati dall’autore fi- no a inoltrarsi sui sentieri dell’as- surdo di Ionesco e Beckett. Così, con gli interpreti di diversa pro- venienza testimoni di una sorta di poliglottismo teatrale, le due ore senza intervallo firmate Russo, con le scene di Roberto Crea, le luci di Pasquale Mari, i costumi di Giuseppe Avallone e il proget- to sonoro di Antonio Della Ra- gione, mettono in evidenza un Eduardo innegabilmente profeti- co. Con i personaggi di Calogero Di Spelta e Otto Marvuglia, che nel professare la convinzione dell’“assurdo” trovano nuovi re- gistri espressivi e recitativi nelle rispettive interpretazioni di Nata- lino Balasso e Michele Di Mauro e con gli altri artisti della compa- gnia, Veronica D’Elia, Gennaro Di Biase, Christian Di Domenico, Maria Laila Fernandez, Alessio Piazza, Manuel Severino, Sabri- na Scuccimarra, Alice Spisa e An- na Rita Vitolo, sempre protesi ver- so il surreale, a materializzarsi al Bellini è quel dramma borghese dell’Eduardo dei “dei giorni di- spari” con la vita che presenta il conto di tutte le sue sofferenze e disillusioni.