di Fabrizio Coscia (Il Mattino – 20/10/2024)
Più che una commedia pirandelliana, come fu accusata di essere dai critici al suo debutto, nel 1949, “La grande magia” di Eduardo andrebbe vista come una resa dei conti con il modello ingombrante del drammaturgo siciliano. Nella vicenda del povero Calogero Di Spelta, infatti -gelosissimo della bella moglie che durante il numero di un prestigiatore nel giardino di un albergo sparisce in un sarcofago, ma in realtà fugge con il suo amante, creduta dal marito chiusa in una scatola – la parodia, la presa di distanza, l’ironia, sono altrettanto evidenti dell’omaggio e della citazione.
Basterebbe solo considerare l’esilarante dialogo tra Calogero e il cameriere sulle “immagini” del cibo finito, in quel terzo atto che è una riscrittura dell’ “Enrico IV”, o il fermo “Non ho capito” opposto dal brigadiere ai fumistici e astrusi ragionamenti del mago Marvuglia.
Bene ha fatto, dunque, Gabriele Russo, nel suo allestimento della commedia, in scena al Bellini fino al 2 novembre, a puntare sulla dimensione grottesca – delle situazioni, dei personaggi, dei movimenti di scena – per allontanarsi sia dagli eduardismi che dai pirandellismi. Dai primi prosciugando il più possibile il testo da ogni elemento farsesco o dialettale, con la scelta di sottolineare anzi una varietà di accenti regionali nei personaggi e soprattutto di affidarsi a due attori protagonisti non napoletani, entrambi bravissimi: il veneto Natalino Balasso nel ruolo di Calogero e il torinese Michele Di Mauro in quello di Otto Marvuglia. Dai secondi esagerando appunto l’aspetto parodistico, e ampliando il nocciolo essenziale della poetica pirandelliana: l’illusione, cioè, come rifugio da una realtà non solo insoddisfacente, ma ostile.
Da qui la rappresentazione di Marvuglia come un iniquo manipolatore delle masse (una riproposizione del Cavalier Cipolla del racconto “Mario e il mago” di Thomas Mann), le atmosfere a tratti inquietanti delle musiche di Antonio Della Ragione, i toni quasi noir della cospirazione ordita dai clienti dell’albergo ai danni di Calogero, e il “ricco appartamento” di quest’ultimo trasformato dalle scene di Roberto Crea in una sorta di standone di un reparto psichiatrico.
Russo firma così la sua miglior regia, dirigendo una compagnia di attori efficaci e affiatati, e dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, che Eduardo – la cui voce registrata apre lo spettacolo per poi smorzarsi in dissolvenza – va riletto come un classico da far rivivere ogni volta con vesti nuove.