L’attore atteso a Castelfranco con “Epopea di Toni Sartana”

di Giambattista Marchetto (Il Gazzettino Treviso * 12/11/2015)

Ci sono una spruzzata di Quentin Tarantino in salsa padana, innesti nemmeno velati dalla mitopoiesi della tragedia greca, citazioni dai social network e dalla Tv, forse piccoli rimbalzi da “Il Caimano” o da “La grande bellezza” del nuovo spettacolo di Natalino Balasso prodotto dal Teatro Stabile del Veneto. “La Cativissima – Epopea di Toni Sartana”, che apre la nuova stagione del Teatro Accademico di Castelfranco Veneto sabato e domenica alle 20.45 (info tel. 0423 735660 – 0423 735600 – www.arteven.it), strizza l’occhio a un immaginario da spaghetti western, ma ha i toni strettamente padani di una Mala volgarotta e banale.
Balasso tratteggia i contorni di un contraddittorio e intristito Nordest. Più precisamente di una venetissima Regione chiamata Serenissima, che confina con la Regione Giulia, nella quale politica e malaffare più che inciuciarsi di fatto coincidono. E così il vecchio rapinatore appende la pistola al chiodo e si butta in politica con un obiettivo preciso: diventare Assessore ai Schei. Sì, perché è ovviamente intorno ai soldi che gira tutto: discariche e ospedali, inceneritori e villette, campagne elettorali e voti di contrabbando.
L’arrembante Sartana, impersonato dallo stesso Balasso, scala rapidamente la piramide socio-televisiva di questa terra preda di corruzione e finzioni televisive. Attorniato da una corte sei miracoli di sciacquette e picchiatori da stadio neofascisti, politicanti accattoni e megere della Bassa, il protagonista non ha scrupoli al di sopra del bassoventre e gioca ogni possibile bluff, imponendo tasse sulle tasse e svendendo la dignità di ogni mentro quadrato di terra. Incalzato dalla moglie, bassofondo di Lady Macbeth, commette ogni sorta di tradimento anche a scapito di parenti e amici. Accanto al regista, in scena c’è un quintetto di attori – Francesca Botti, Marta Dalla Via, Silvia Piovan, Andrea Pennacchi, Stefano Scandaletti – che lo stesso Balasso dice essere “miei coadiutori, quindi anche loro un poco registi”. Tutti bravissimi.
I personaggi sono semplici, quasi banali. Dal Sartana giù fino all’ultimo dei comprimari. A loro il compito di rappresentare un microcosmo umano che si sfaccetta e si moltiplica, come tante “maschere” nelle quali -precisa Balasso- lo spettatore, colpito insieme allo stomaco e al cervello, troverà un poco di se stesso. L’autore spiega come la commedia sia stata concepita come una sorta di “recita”, insieme realista e surreale, di diretto approccio con la platea. Teatro popolare pensato per far ridere attraverso un umorismo di ghignante sarcasmo. “In questo clima di irreale fantapolitica -dice ancora l’autore- Toni Sartana riluce come una sorta di Ubu veneto (ispirato com’è all’Ubu Re di Jarry) che vuole il potere fine a se stesso usando ogni crudeltà. Questo lo porta a rovinose cadute, ma avendo la consistenza dei pupazzi di gomma, finisce per cascare sempre in piedi. Salvato dalla sua stessa inconsapevolezza”.
“E’ la comicità tipicamente mia, mista di amaro e di ineluttabilità”, conclude Balasso. E in effetti di commedia amara si tratta. Con il limite forse di essere così vicina alla realtà da risultare banalizzante, perché il pubblico -per quanto possa esser sedato dalla somministrazione di ingenuità televisive- fa troppo poca fatica ad assimilare i politicanti corrotti o smidollati sul palcoscenico a quelli che sfilano a “Porta a Porta”, e il passo è breve tra il fascismo ridicolo e brutale della finzione e i comizi della piazza accanto.