Un nuovo monologo o un monologo nuovo?

È passato qualche anno da quando ho scritto il mio ultimo monologo per il teatro. Nel frattempo ho partecipato ad avventure teatrali di Compagnia più o meno faticose, come può essere faticoso fare teatro oggi per chi non riceve contributi statali.
Devo dire che questo nuovo lavoro è frutto di riscritture successive, come un intaglio di cui si cerca la misura. Volevo che non fosse semplicemente un nuovo monologo. Volevo che fosse un monologo nuovo.
Chi mi conosce sa che non amo scrivere in teatro pièce sulla contemporaneità. Con Ercole in Polesine raccontavo il mito greco, con La Tosa e lo Storione raccontavo una vicenda quasi vera degli anni ’30 del secolo scorso. Con L’idiota di Galilea ero tornato all’anno zero. Ho sempre trovato stucchevole la rappresentazione che i comici fanno della contemporaneità, con battutine sui politici o sul gossip giornalaro. Ho pensato però che ci fosse, perché c’è sempre stato in teatro, un modo migliore per rappresentare le nostre paure e i nostri desideri di oggi. Su questo modo migliore ho voluto indagare per scrivere un monologo che avesse senso recitare in teatro. Nel quale si ridesse, perché non appartengo a quel razzismo del pensiero che ritiene il comico inferiore al drammatico. Ma un monologo nel quale il ridere fosse una conseguenza quasi necessaria del racconto e non una finalità.
Questo monologo parte da due discorsi pubblici: il primo è il discorso che Colin Powell fece nella sede dell’Onu quando dichiarò che c’erano le prove delle armi chimiche in Iraq. Il secondo è il discorso che il presidente dell’Uruguay Pepe Mujica ha pronunciato anni dopo, in occasione di un simposio mondiale sull’ambiente e sullo sviluppo sostenibile. Mi sono sembrati due pezzi di teatro che raccontano di noi.
Ci troviamo in un giallo in cui dobbiamo improvvisarci detective per indagare con pochissime prove a disposizione. C’è qualcosa di peggiore delle menzogne: sono le false verità che ci costruiamo ogni giorno.
Questo monologo non poteva trascurare l’attenzione che si è creata attorno ai miei video su Youtube. Dieci milioni di spettatori negli ultimi quattro anni, senza nessuna forma di sostegno televisivo o radiofonico sono il risultato di un linguaggio, quel linguaggio è stato ritenuto da molti un linguaggio nuovo, una forma di comprensione del presente che può diventare strumento. Così ho voluto che fosse e così voglio che sia tagliata la comicità di questo mio monologo nuovo, intitolato VELODIMAYA.

Natalino Balasso