L’Eco di Bergamo – 28 gennaio 2009
I pescatori sognavano, il Po era magia
Un intenso Natalino Balasso a Nembro tra storioni, Gesù e San Pietro
di Andrea Frambrosi

Come si sa l’Italia è un Paese di “santi, poeti e navigatori”. Nello spettacolo La tosa e lo storione di e con Natalino Balasso –andato in scena al San Filippo Neri di Nembro nell’ambito della stagione di Palcoscenico 2009- troviamo curiosamente rappresentate tutte e tre queste categorie. La storia –meglio: le storie- raccontate dal personaggio interpretato da Balasso sono quelle legate ad un particolare periodo storico e ad un preciso ambiente: gli anni Trenta nel delta del Po. L’epoca in cui per alcuni mesi all’anno i pescatori con le loro famiglie si trasferivano sugli “scani”, lingue, lembi sabbiosi, isolotti che emergevano dal mare che venivano utilizzati come base per la pesca allo storione. Su questo filone principale Balasso ne innesta altri: quella di Gesù e San Pietro che si aggirano nel delta per vedere se l’umanità sia diventata migliore o peggiore, quella della “tosa” che dà origine al titolo…pezzetti, brandelli di storie che si incastonano via via, sul tronco principale della narrazione che mescola abilmente il passato e il futuro, utilizzando spesso il primo per spiegare il secondo. Torbolo, il Faina, la tosa: hanno nomi strani, nomi antichi i protagonisti di queste storie perché vengono da lontano, in un ritorno al futuro carico di senso e gravido di presagi. Le storie di Balasso hanno il sapore magico del sogno, come quello che i pescatori dovevano fare per sperare di pescare lo storione: chi non “faceva il sogno” non poteva sperare di pescare il pesce. La vita era così: regolata da regole scaramantiche di nessuna efficacia ma di grande appeal esistenziale: non pescare nessun tipo di pesce prima di aver catturato uno storione, affiggere immaginette di santi sulla prua della barca.
Allo stesso modo le storie di Balasso portano a sognare anche se il sogno diventa un incubo, come nella tragica conclusione della storia della tosa, la ragazza che si fingeva un maschio uccisa dall’ignoranza, dalla povertà, dall’ignavia: dalla paura. Natalino Balasso, piantato in mezzo al palco con i suoi stivaloni da pescatore, le mani ficcate rabbiosamente in tasca, racconta e monologa, fa riflettere e sorridere, calca l’accento dialettale per preparare con il sapore della battuta vernacolare una storia di ieri che ci parla dell’oggi.