Marmirolo: sold out per Balasso filosofo
di Maria Luisa Abate (La Cittadella * 24/10/2014)

Uno splendido sold out ha premiato la serata inaugurale al Teatro Comunale di Marmirolo. L’occasione era ghiotta: l’anteprima nazionale dell’ultimo spettacolo confezionato e interpretato da Natalino Balasso, che non ha presentato i difetti tipici delle anteprima, solitamente necessitanti di limature successive. La messa in scena era infatti perfettamente funzionante, parsa addirittura rodata: sintomo di grande professionalità. Balasso è bravo come attore e intelligente come autore; fin dalle prime battute ha confermato di possedere una vis comica tanto esilarante quanto ricca di sostanza. Il testo ha invitato a pensare ma le risate che ha scatenato, incessanti e irrefrenabili, non hanno presentato retrogusti di pedanteria. Una galoppata di due ore, forse troppe per la formula del monologo, comunque mai tediose, senza che il ritmo abbia registrato alcun calo di tensione. Un ironico trattato di filosofia, nemmeno troppo spicciola, esordito con Schopenhauer da cui è stato preso a prestito il titolo: Velodimaya. Il velo di Maya del pensatore tedesco è uno schermo che impedisce la vera visione della realtà, che inibisce l’essenza del mondo (noumeno) soppiantandola con la trasfigurazione della mente (fenomeno). Uno schermo sul quale la nostra vita viene proiettata, afferma il Balasso-pensiero, finché non ci accorgiamo che il film è un “dannato giallo” e i detective siamo noi, che dobbiamo capire cosa ci sta succedendo. “Dio creò maschio e femmina, proprio come voleva Giovanardi. Da Lui, che ci ama, viene questa vita da incubo: figuriamoci se gli fossimo stati antipatici!!!” E via con i riferimenti biblici intrecciati a ricordi di infanzia in un racconto sinuoso, spiritoso, incalzante. Balasso si è inerpicato sulle parole, alle quali è stato attribuito un significato filtrato da velodimaya linguistici: in realtà una citazione alla metasemantica di Fosco Maraini e alla sua Gnòsi delle fànfole (che ispirò anche la versione musicale del jazzista Stefano Bollani). Il finale non poteva che essere poetico: “la vita è sogno” diceva Calderòn de la Barca, mentre Shakespeare affermava che “siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i sogni“. Ben venga quindi il velodimaya di Balasso, grazie al quale abbiamo potuto estraniarci dalle brutture della vita e abbandonarci alla fantasia.