Il linguaggio la fa da padrone. Oggi pomeriggio ultima rappresentazione allo Storchi

di Andrea Marcheselli (Gazzetta di Carpi – 26 febbraio 2023)

Modena. E’ una scenografia basica, minimalista, eppure di forte suggestione quella che accoglie “Balasso fa Ruzante. Amori disperati in tempo di guerre”, lo spettacolo in scena fino a questo pomeriggio al Teatro Storchi, una coproduzione Emilia Romagna Teatro/Teatro stabile di Bolzano che ha condotto l’attore comico rodigino sulle tracce del grande teatrante veneto rinascimentale, col quale condivide, sicuramente, il chiamarsi fuori dagli stereotipi teatrali e la volpona di “portare in scena il quotidiano, la gioia e la disperazione della gente comune, l’ipocrisia e la spocchia dei potenti, la costante ingiustizia”, come scriveva di Angelo Beolco Dario Fo.
E a Dario Fo si può dire si ispiri almeno in parte l’allestimento che ha costruito Balasso, assieme a Marta Dalla Via, partendo da un mélange di scene e battute tratte dalla drammaturgia ruzantesca.
Con Marta Cortellazzo Wiel nei panni della Gnua, scaltra contadinotta con l’obiettivo di non patire la fame e Andrea Collavino nei panni di Menato, compare e rivale di Ruzante, ossessionato dal bisogno di amore, Il Ruzante di Balasso esprime la propria apparente furbizia, che nel tempo si rivela essere piuttosto ingenua dabbenaggine, con un linguaggio tutto particolare, un “neo-dialetto crapulone” che tenta, in modo incisivo, di rievocare la parlata in stile ruzantiano ed è tra le cose meglio riuscite dello spettacolo.
Pieno, peraltro, di piccoli escamotage che sono poi soluzioni sceniche di comica efficacia, dal campo racchiuso in un carretto al monopattino che si fa gondola, alla sineddoche della casa evocata dalla sua porta. Tanti particolari che raggiungono l’obiettivo di dare modernità ai personaggi, le ambientazioni, i dialoghi di un autore cinquecententesco sempre sul punto di precipitare nell’oblio e qui invece riportato meritoriamente sulla scena.
Naturalmente Balasso non dimentica di essere un attento osservatore dei mali e delle contraddizioni del nostro tempo per cui ha recuperato, nell’opera di Beolco, gli aspetti che più si potevano avvicinare ai falsi miti, alle incoerenze, alle ingiustizie nostre contemporanee, cosicché sull’intero spettacolo grava una sorta di malinconico pessimismo che stempera l’allegria e alla fine lascia tutto letteralmente in sospeso, come è poi nello stile istrionico di un artista assai fuori dal coro ma in totale armonia con l’arte comica.
E in effetti è bello che la risata che spesso viene strappata al pubblico si tramuti in potenziale riflessione critica, secondo le consuetudini di Natalino Balasso, che ha letteralmente conquistato il pubblico dello Storchi la sera della prima, conclusa con -anche questa non proprio consueta- presentazione agli spettatori di ciascun componente la compagnia, dagli attori ai tecnici, con un fuori programma finale di forte sensibilità verso i propri collaboratori.
Non so se anche questo possa allinearsi agli usi di Ruzante, però conferma le qualità umane di Balasso artista e uomo vero.