In scena un inedito Natalino Balasso nei panni (autobiografici o meno non è dato saperlo) di Angelo Beolco, detto il Ruzante
di Beatrice Ceci (Media & Sipario – 06 marzo 2023)
Prima di approcciarsi alla messa in scena di “Balasso fa Ruzante – Amori disperati in tempo di guerre”, sarebbe il caso di conoscere meglio Angelo Beolco, che Natalino Balasso ha deciso di “interpretare” a tuttotondo. Autore di commedie “ante litteram”, nacque e lavorò ben prima che fosse stipulato il patto non scritto delle Commedie dell’Arte, nel quale il divertimento doveva farla da padrone.
Alla visione dello spettacolo abbiamo pensato a Molière, a Goldoni, ai versi meno colti di Shakespeare e fa piacere, documentandosi, trovarsi di fronte alle parole del premio Nobel della letteratura Dario Fo: “Uno straordinario teatrante della mia terra, poco conosciuto…anche in Italia. Ma che è senz’altro il più grande autore di teatro che l’Europa abbia avuto nel Rinascimento prima ancora dell’avvento di Shakespeare. Sto parlando di Ruzante Beolco, il mio più grande maestro insieme a Molière: entrambi attori-autori, entrambi sbeffeggiati dai sommi letterati del loro tempo. Disprezzati soprattutto perché portavano in scena il quotidiano, la gioia e la disperazione della gente comune, l’ipocrisia e la spocchia dei potenti, la costante ingiustizia”.
Da tempo (ne aveva parlato con Marco Paolini già nel 2001), Balasso accarezzava l’idea di portare sul palco il commediografo rinascimentale per celebrarne la grandezza del “saper parlare alle genti”, ha preso quindi spunto da diverse commedie e fa ancora più sua l’accezione di Ruzante o Ruzzante, da “ruzzolare”, giocare, divertirsi. Lo fa con una lingua che in parte gli appartiene (anche Balasso è di origine veneta) e che in parte reinventa: già in Beolco i dialoghi apparivano più in dialetto pavano (una variante del veneto, vicino a Padova) che in italiano e il Balasso autore ed attore ne fa tesoro. Ma gioca anche sul palco, anche con le azioni: il suo personaggio si “ruzzola” nella paglia nei giochi d’amore con la sua Gnua e si cimenta con quelli di “intelletto” e goliardici con il compare/avversario Menato.
Ruzzante è un contadino. Ha un piccolo campo, una casa, una moglie giovane che dice di avere 48 anni, ma di essere vogliosa quanto e come lui. “La Gnua” (una convincente ed energica Marta Cortellazzo Wiel) è quindi la sua donna, avvenente e non stupida, anzi! Forse ignorante perchè non sa leggere, ma “di mondo” si direbbe adesso, avvezza al fatto che il suo uomo deve essere soddisfatto tanto a letto quanto in cucina. E’ consapevole che in quel momento storico, pur “sapendo” come cavarsela, ha bisogno di qualcuno che la protegga ed è per quello che appare cinica quando in realtà è la sola necessità di sopravvivenza che la fa apparire (e solo apparire) sottomessa. A completare quadro e messa in scena Menato, compare di Ruzante, precedente amante di Gnua, prima che lei si sposasse e dopo che lui le ha preferito un’altra che poi lo ha abbandonato (il bravissimo ed estremamente espressivo Andrea Collavino).
Che giochi strani fa il destino! Menato è geloso, di Gnua, che gli appare nuovamente “appetitosa”; di Ruzante, che pur suo amico è piccolo, meno bello, ingenuo. E cerca di mettere zizzania nella coppia perchè la solitudine “gioca” brutti scherzi. Come la guerra, che appare alla porta di Ruzante attraverso una missiva, letta da Menato -l’unico non analfabeta- e inviata dal nuovo vescovo, che confisca i campi e chiama alle armi. Ruzante parte, in cerca di onori e bottini e affida ingenuamente La Gnua a Menato, diventato emissario del vescovo e quindi intoccabile…
Il “gioco” è alla base di tutto lo spettacolo: giochi d’amore, di guerra, di parole, di linguaggio, di comportamenti, gesti e gioco tra artisti. Balasso “è” Ruzante ma non è il solo protagonista con “spalla” o comprimari: le qualità e il mestiere dei tre affiora costantemente, indiscutibile la complicità, probabilmente creata dalle repliche, ma anche dalle scelte (Balasso ha dichiarato di aver “fortemente” voluto sia Collavino che Wiel). Perfettamente oliata la macchina teatrale, la bravura fattoriale si sovrappone al gusto personale dello spettatore (anche di quello che poco ama la carnalità e volgarità di Beolco) e la punteggiatura dei giochi di luce, delle scelte musicali estremamente moderne (quasi contemporanee), nonché la scelta regista di Marta Dalla Via consegnano al pubblico uno spettacolo che assume diverse sfacettature.
Ai neofiti del teatro si restituisce comunque un soggetto immediato, con dialoghi divertenti (vettovaglie – Ve! Tovaglie!) che cercano la risata tout court. Pur di imprinting cinquecentesco e nonostante la rilettura moderna ci rendiamo conto che nulla è cambiato nel gusto e nella percezione odierna (ed è forse per questo che Beolco ha avuto momenti di critica e rivalutazione altalenanti). La risata facile si ottiene con la battuta al limite della decenza, al limite della volgarità. Al pubblico più esperto la rilettura del “teatrante Balasso” consegna invece una rivalutazione dell’opera completa del Ruzante e soprattutto l’arte teatrale nell’accezione più alta del termine, perché non uno tra i 4 protagonisti (Balasso – Collavino – Wiel – Beolco) risulta risentire dello spettacolo interpretato. Non si vede “solo” il personaggio o “solo” la scrittura, ma l’Artista in quanto tale, che a metà dello spettacolo potrebbe smettere i panni di Menato o della Gnua o di Ruzante per declamare versi di Omero e nessuno riuscirebbe comunque a distogliere l’attenzione, ma anzi cercherebbe di trovarne il significato recondito dell’intermezzo o il legame con il racconto originale, pur apprezzandone l’arte oratoria.
BALASSO FA RUZANTE
(amori disperati in tempo di guerre)
di Natalino Balasso
con Natalino Balasso, Andrea Collavino, Marta Cortellazzo Wiel
regia Marta Dalla Via
scene Roberto Di Fresco
costumi Sonia Marianni
luci Luca dé Martini di Valle Aperta
produzione Teatro Stabile di Bolzano, Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale
durata 1 ora e 20 minuti circa, senza intervallo