di Barbara Rodella (Gazzetta di Mantova * 20/11/2018)

LA CONSEGNA DEL PREMIO
L’attore parla prima dello spettacolo al Sociale: “Sul palco verità e sentimento. Mi allontano dalla commedia dell’arte, è più una commedia all’italiana”

L’umorismo di Natalino Balasso traspare anche lontano dal palcoscenico durante l’intervista che concede poco prima di salire sul palco del teatro Sociale in Arlecchino servitore di due padroni nel ruolo del protagonista e ritirare il premio l’Arlecchino d’Oro.
Il riconoscimento alla carriera viene attribuito una volta all’anno, dal 1999, a un artista di rilievo internazionale il cui percorso abbia saputo valorizzare la mescolanza tra le varie arti. “Non avevo idea che avrebbero premiato me -esordisce Balasso con ironia-. Credo sia uscito per sorteggio il mio nome. Sono fortunato come quando si vince alla lotteria. Non me lo aspettavo. E’ chiaro che in Italia l’unico a cui potevano darlo ero io, ma non sapevo che sarebbe arrivato così presto. L’Arlecchino servitore di due padroni per la regia di Valerio Binasco, rispetto alle messe in scena classiche che seguono la linea di Strehler, si allontana dalla commedia dell’arte per avvicinarsi alla commedia all’italiana. Arlecchino non è un mattatore. Lo spettacolo segue la storia scritta da Goldoni scritta nel 1745 che generalmente, in scena, è poco chiara proprio perché vengono privilegiati i numeri di Arlecchino. Per la prima volta esce la storia originale rappresentata come se fosse accaduta veramente. Viene raccontata la storia di Arlecchino che per necessità serve due padroni, deve mentire ma non è capace di farlo. Sul palco avremo verità e sentimento. Il pubblico ride e si diverte, ma si commuove anche. Questo perché i momenti commoventi lo sono realmente, non sono una presa in giro della commozione come avviene nella commedia dell’arte”.
E nella rappresentazione ci sono diversi momenti drammatici, basti pensare, come sottolinea Balasso, che la storia dell’Arlecchino parte da un omicidio. “Della commedia all’italiana la rappresentazione prende soprattutto l’estetica. Binasco ha voluto raccontare un’Italia povera, più povera di oggi ma con più dignità, dove anche i poveri, pur non avendo soldi, cercavano di vestirsi decorosamente. Le scene vengono poi rappresentate in modo cinematografico con pannelli che si allontanano e scendono per dipingere i vari momenti. E sul palco si vedono anche 3 scene di 3 stanze diverse contemporaneamente”.
E l’Arlecchino di Balasso?
“Si tratta di un disadattato -racconta l’attore-. La prontezza non è una dote che lo contraddistingue. E’ un personaggio che non riesce a pensare velocemente e questo diventa un problema quando si mente a più persone. Si muove sull’onda della tenerezza e non tanto su quella della furberia. Non è un furbacchione che riesce a fregare la gente, ma al contrario è sempre terrorizzato dal fatto che prima o poi rischia di prendere delle botte. Non è una maschera ma un vero e proprio personaggio con un approfondimento psicologico”.
E Balasso per vestire i panni ha dovuto allontanarsi dalla sua confort zone abituato come attore ad interpretare ruoli energici. “In questo spettacolo non devo essere simpatico. Le risate nascono da situazioni legate al carattere infantile di Arlecchino che non è un personaggio energico con potere decisionale ma al contrario subisce ciò che accade e cerca di adeguarsi. E questa per me è stata una sfida”.