Il Resto del Carlino 24 Gennaio 2006
In scena le voci dell’infanzia
Pubblico numeroso che ha lungamente applaudito gli interpreti
di: Sergio Garbato

L’inizio è quasi sommesso, con la luce fioca che dopo il temporale cresce dolcemente sul palcoscenico, la veletta di due tendine, pronte a sfumare, ma anche a ondeggiare o girare intorno per partecipare all’azione e lambire i personaggi discosti, uno accanto alla sua bicicletta e l’altro dietro, come un’ombra paradosale e sperduta.
Ci raccontano le emozioni e le suggestioni di un libro che ha ormai più di quarant’anni (metà di quanti ne abbia oggi il suo autore) “scritto dall’interno di un mondo dove si parla una lingua che non si scrive”.
Stiamo parlando di “Libera Nos”, capolavoro di Luigi Meneghello e adesso spettacolo straordinario, che riprendendo e rinnovando una prima e fortunatissima versione di quindici anni fa, gira per l’Italia piccola e quotidiana colorando la memoria d’infanzia nelle sfumature di un’ambiguità che gioca tutta sulle parole..
L’odierno “Libera nos” ripropone gli stessi nomi di quindici anni fa: gli autori Marco Paolini, Antonia Spaliviero e Gabriele Vacis che è anche il regista, ma anche uno dei due interpreti , il bravissimo Mirko Artuso. L’altro è Natalino Balasso che dà al suo pluripersonaggio un taglio personale e molto emozionato, riuscendo perfino a citare (nella pronuncia stralunata) Paolini. E dunque, l’altra sera sul palcoscenico di un Sociale affollato in ogni ordine di posti, l’inzio era in minore, tanto che la voce di Balasso, ritto in piedi dietro la bicicletta, era appena percettibile.
Poi è bastato dire che il dizionario contiene tutte le perole, perchè queste ultime comonciassero a fioccare dalla bocca di Artuso, come grandine, sempre più fitta e più forte, secondo una scansione che era, sì, quella della memoria ma anche del recupero di un passato che si credeva perduto. Parole come suoni e come realtà di un’infanzia che ritorna con la stessa forza emotiva e con l’alito di leggenda che accompagna quel periodo. Ma che cos’è, nell’infanzia, quel male che risuona anche nel male del paese? “Quando eravamo piccoli lo sapevamo benissimo”, ha scritto Meneghello, “erano le ‘brutte cose’, e queste erano i convegni in orto, nei giorni di lavoro, e nelle carrozzerie delle macchine vecchie della domenica”. Una educazione sentimentale intrisa di acqua santa e semplicità, mistero e sorpresa, gioia, comicità irresistibile, ma anche dramma e dolore, con la vita che ramifica e fruttifica fino a perdersi con le foglie d’autunno e con due interpreti che sono riusciti ad assumere in se stessi, anche fisicamente, la sostanza stessa della pagina di Meneghello, fino a commuovere il pubblico numeroso che si è sciolto alla fine in lunghissimi applausi.