Pare ridicolo dover intervenire su questo tema, ma tocca farlo.
Il fatto che io abbia deciso di far pagare i video che realizzo ha aperto una discussione che mi permette di fare chiarezza su alcune cose e anche su alcune polemiche insensate che ho letto.
PREMESSA: forse qualcuno non si è accorto che i teatri sono ad oggi ancora chiusi.

1. Il fatto che fino a ieri ho realizzato video e film fruibili gratuitamente è frutto di una mia personale scelta. All’inizio l’iniziativa era dettata dal fatto che dovevo imparare nozioni tecniche che oggi possiedo, ero quindi un apprendista sperimentatore. Una volta imparato (dopo 10 anni), dato che comunque lo facevo nei ritagli di tempo, riuscivo col mio mestiere, che è il teatro, a sopperire alle spese senza dover chiedere niente a nessuno. Oggi questo aspetto, che reputo oggettivamente di qualità, fa parte del mio lavoro; è un mio prodotto artistico e come gli altri va pagato. Se pagarlo o meno, e quindi se poter usufruirne, è una scelta personale del pubblico, che non è obbligato a farlo. Ovviamente, come con qualunque mio introito, ci pago le tasse.

2. Questa personale scelta non ha NESSUNA ATTINENZA con l’idea che la cultura sia una cosa di cui tutti devono partecipare e quindi “messa a disposizione”. Continuiamo a confondere la gratuità delle cose con la gratuità del lavoro. Quando diciamo che “la sanità è gratuita”, solo un cretino penserebbe che ciò significhi che se entri in una farmacia ti regalano i farmaci, neanche a Cuba lo fanno; solo un cretino penserebbe che medici e infermieri devono lavorare gratis, neanche a Cuba lo fanno.
Quando diciamo che la cultura è di tutti, intendiamo dire che ciò che consideriamo culturalmente importante per la società dovrebbe essere pagato coi soldi delle tasse, come l’ambulanza. Siccome a me lo Stato non dà niente, e mi rimborsa meno dello stretto necessario persino quando mi impedisce di accedere alla mia unica fonte di lavoro, devo dedurne che la cultura che io produco non sia rilevante per lo Stato, perciò lo devo considerare un prodotto del mio lavoro privato, che come tale va pagato direttamente da chi ne usufruisce, purtroppo. Dal momento che chiedo soldi a chi vede i miei video, non vedo perché altri dovrebbero usufruirne gratuitamente (non sarebbe giusto nei confronti di chi paga). Naturalmente cerco le forme più appropriate per fare questo mantenendo il costo per la gente il minore possibile, trattandosi di opere riproducibili, ma al momento nessuno mi dà la possibilità di dirti “Vuoi vedere questa cosa? paga 80 centesimi”, devo fare un tanto al chilo ed è comunque una fortuna che qualcuno abbia pensato a delle piattaforme organizzate (il cui costo incide ovviamente). Del resto non credo che, siccome la cultura è di tutti, se andate in libreria e chiedete il testo de I Promessi Sposi il cui autore tra l’altro è morto, vi diano il libro gratuitamente; così come non credo che i libri di testo per le scuole, che per altro sono obbligatorie, siano gratuiti.

3. Il motivo per cui rifiuto le proposte pubblicitarie e non cerco sponsor privati è lo stesso per cui non prendo soldi pubblici per fare il mio mestiere: non voglio che il commercio forzato o la burocrazia statale mi impongano i temi e i modi della mia arte. E’ lo stesso motivo per cui ho sempre prodotto i miei monologhi autonomamente (attraverso una società formata da me e mia moglie, che ci lavora anche più di me) e ho sempre scelto i temi, scritti da me o da altri, che volevo affrontare in teatro. Se ce la faccio non lo so, e d’altronde non l’ho mai saputo e mi va bene così, ma questo è ciò che la mia volontà e le mie capacità mi permettono di fare al momento.

4. Chi dice che col mio mestiere sono sempre andato bene e quindi devo dare gratuitamente un contraccambio alla società fa i conti col culo degli altri: sono sempre andato bene perché un’esigua minoranza della popolazione, di cui spesso questi critici non fanno parte, ha alzato il culo dal divano e ha pagato dei soldi per vedere i miei spettacoli. E’ a queste persone, semmai, che dovrei qualcosa parlando prosaicamente di danari, ma mi sembra di avere dato molto in questi anni in termini di impegno personale.

5. Qualcuno dice che aprire una pagina Patreon sia una specie di ripiego, o una cosa di cui vergognarsi, come se io (che evidentemente per i disinformati devo essere ricchissimo) non dovessi trarre dal mio lavoro ciò di cui campo; ora, prendo nota del fatto che qualcuno mi ha scambiato per Amadeus, però io non sono un giullare del commercio obbligato e nemmeno un intrattenitore per le tasche del Billionaire, ma poi ditemi: avete mai visto qualcuno vergognarsi di chiedere i soldi del biglietto per uno spettacolo? Avete mai visto un cantante vergognarsi del fatto di vendere i propri dischi o un pittore, uno scultore, ritenere un ripiego vendere i propri quadri di persona? Qualche cretino ha anche parlato di “tentata vendita”, come se uno che si fa pagare direttamente per ciò che fa fosse una specie di mercante d’accatto, mentre il direttore, il regista o l’artista di uno Stabile che prende i soldi dalle tasse dei cittadini che per giunta pagano in sovrappiù anche un biglietto, fosse una specie di benefattore. Se avete problemi di lessico non è colpa mia ma almeno pensateci prima di sparare a caso concetti non sostenuti dal ragionamento. Ringrazieremo Franceschini anche di questo, quando dice che ci tiene alla dignità degli artisti.

6. Lo scritto di cui sopra non dovrebbe nemmeno essere necessario, ma in quest’epoca di analfabetismo funzionale diventa necessario giustificare cose pacifiche. Se non fossi stato a casa non avrei pensato in questi termini, però ci avrei pensato e avrei sicuramente aperto una pagina Patreon magari con più calma;  ma a fare quello che faccio sono bravo, perciò fare salti non mi ha mai spaventato.

7. Questo punto vale anche per tutto il resto delle cose: se non capite quando uno parla non sempre la colpa è di chi parla.