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Lo so, dovrei dire qualcosa in difesa della cultura. Ma la cultura non è una cosa che c’è o non c’è, la cultura c’è sempre e, in questo momento, il nostro popolo ha questa cultura qua.

Quando si parla di sci, non si parla delle distese innevate e della bellezza della montagna, i turisti la rovinano la bellezza della montagna; no, quando si parla di sci si parla di soldi che si spendono nello sci. Quando si parla di sanità si parla dei denari che costa mantenere in malattia i vecchi di questo paese. Quando si parla di scuola si parla dei denari che si possono spendere per acquistare cose (non però degli stipendi degli insegnanti), si parla dei soldi che l’edilizia può guadagnare sotto la voce “istruzione”.

Nessuno sta tenendo in conto il danno culturale che stiamo infliggendo ai ragazzi oggi, non solo impedendo loro di imparare coi rapporti umani, ma anche evitando di farci carico della loro crescita; perché, a cosa serviamo noi vecchi, se non a far crescere i giovani? Serviremmo a qualcosa che non fosse il soddisfacimento delle nostre viscere? 

Mi dispiace, ma non avrei rispetto per me stesso se pensassi che un paese che deride una ragazzina che parla del danno ecologico e umano prodotto dal commercio obbligato, sia diventato ecologista all’improvviso. Spendere soldi per la salute del pianeta non è la stessa cosa che avere la cultura della salute del pianeta.

Se priviamo le persone della scuola, della cultura, del pensiero, circondiamo la gente dell’indefinibile nulla fatto di possibilità di posizionamento, di ricavi, di vantaggi e privilegi, utili solo a quella fuffa ordinaria che chiamiamo autostima. Anche un ragazzino che ammazza la gente agli ordini della camorra è pieno di autostima, ma circondato di nulla. Il problema è che non lo sa.

Il lessico che utilizziamo oggi tradisce il nostro perenne ossequio per il potere, nei film e nel teatro, il finanziatore e amministratore viene chiamato “produttore”; ma chi produce un film o un’opera teatrale, chi la porta avanti, non sono gli amministratori, sono gli autori, i registi, gli attori, i danzatori, i musicisti, i tecnici: sono costoro i “produttori” dell’opera.

Il “fare” nell’epoca in cui si decantano i fatti è considerata cosa di poco conto. Il politico dovrebbe avere il pensiero come prima dote, invece oggi viene esaltato il saper fare i conti, il saper mettere a tacere chi non ha il potere di dar fastidio e nel leccare il culo a chi potrebbe nuocere. Tutto ciò viene definito “l’arte della politica”.

Io non posso dire niente in difesa di questa cultura. Coi denari che gli amministratori del comparto culturale si sono magnati in tutti questi anni, chi la cultura la produce, i veri produttori di cultura, potebbero campare di rendita per secoli. Quei soldi non provengono dal pianeta finanza, che è un pianeta in cui è proibito percepire l’odore di merda che esce da ogni operazione, provengono dalle tasche di semplici cittadini che tutti i giorni “fanno”, “producono” cose e pensieri, ai quali chiediamo i soldi due volte: la prima con le tasse, la seconda col ticket che devono pagare per vedere qualcosa, per ascoltare qualcosa, per leggere qualcosa.

Io non oso pensare quanto costi preparare una pista da sci, far muovere un gatto delle nevi, pestare la neve per renderla agibile, immagino tantissimo; può essere che quei soldi siano in piccola parte, in qualche modo, rimborsati. Ma chi può rimborsare le persone dalla continua delusione, dal continuo stato di indefinibile nulla di cui continuiamo a circondare la gente, i giovani, i vecchi di questo paese?